I generali della Cgil lasciano Mussi solo nella Cosa rossa

La separazione è nei fatti, e non sembra nemmeno troppo consensuale, tra i cigiellini che militano in Sd e la Cosa rossa. Ma non è ancora il momento del divorzio ufficiale anche se già circolano i primi veleni. E soprattutto l’8 dicembre, all’assemblea della Cosa rossa, la Cgil non ci sarà e alle truppe di Mussi mancheranno i generali più rappresentativi.
Il segretario confederale Paolo Nerozzi smentisce le notizie riportate da alcuni quotidiani di ieri secondo cui starebbe preparando un documento contro Mussi come prima tappa di una exit strategy verso il Pd. È al Riformista spiega: «Vedo un vecchio modo di affrontare il dissenso fatto di veleni, accuse, demonizzazioni. Non sto andando verso il Pd e nemmeno contro Mussi. L’8 dicembre non parteciperò agli stati generali perché vedo irrisolto a sinistra il tema del rapporto tra rappresentanza sociale e politica. Dopo l’8 ne discuteremo dentro Sd dove farò la mia battaglia». Ma le polemiche che hanno accompagnato la vicenda del welfare sono destinate a lasciare qualcosa di più di uno strascico. Prosegue Nerozzi: «Cremaschi parla di cislizzazione della Cgil e Zipponi dice che andiamo verso destra. Ora, al di là del fatto che non capisco l’avversione verso la Cisl, vedo attorno al Prc una ricomposizione politica del fronte del no al referendum. E sulla Cosa rossa dico che una forza di sinistra, se vuole governare, deve avere una relazione con l’insieme del movimenta sindacale, e non solo con una parte. Sd, in particolare, ha mancato questa sfida».
Nel parlare a nuora (Bertinotti) perché suocera (Mussi) intenda, Nerozzi insiste sul punto: «Abbiamo fatto un referendum con gli altri sindacati confederali, compresa la Cisl. Un percorso così democratico e unitario era impensabile solo qualche mese fa. Così come abbiamo detto in questi giorni che se non si rinnovano i contratti andremo allo sciopero generale. In altri tempi ci sarebbero voluti mesi. Ora mi chiedo: perché demonizzare tutto questo?». Poi l’accusa principale che Nerozzi muove a Rifondazione: «Il punto politico irrisolto della Cosa rossa è il rapporto col sindacato. Rifondazione ripropone lo schema del ’98, quando con le 35 ore tentò di scavalcarlo a sinistra. Ma poi, allora come oggi, non ha i numeri». E nel rivendicare l’autonomia della Cgil respinge le critiche di «corporativismo» rivolte ai sindacati dopo la fiducia sul welfare: «Se non si tiene conto dei rapporti di forza si fa solo propaganda. La sinistra radicale ha sbagliato mira. Certo che il Parlamento è sovrano ma perché attaccare noi? Nel merito ha sbagliato drammaticamente il governo che, dopo le modifiche della Commissione lavoro, doveva riconvocarci».
La Cosa rossa, su queste basi, dicono a Corso Italia, ha una trazione troppo radicale e manca di cultura di governo. Di qui le prese di distanza. Il segretario generale della Funzione pubblica della Cgil Carlo Podda non usa mezzi termini: «Oltre al welfare il problema è come è gestito l’intero processo. Ha più o meno le stesse caratteristiche di fusione fredda che abbiamo rimproverato a suo tempo al Pd. Ed è ovvio che se si unisce solo l’esistente è inevitabile un’egemonia di Rifondazione».
«All’inizio – prosegue Podda – immaginavo che si sperimentassero forme nuove di partecipazione, ora invece ci si limita a unificare gli stati maggiori». E ancora: «Vedo nella Cosa rossa una visione minoritaria del mondo del lavoro, e nel settore di cui mi occupo un forte ritardo di elaborazione. Mi spiego: sul lavoro pubblico non c’è stata tutta questa differenza tra le posizioni di Padoa Schioppa e i ministri della sinistra dell’Unione in questo anno e mezzo di governo. Basti pensare al rinnovo dei contratti a termine e alla lotta alla precarietà nella pubblica amministrazione». Poi Podda trae un bilancio: «Se sul piano politico generale sono perplesso, nel mio ambito specifico le critiche aumentano esponenzialmente. Ecco perché non andrò all’assemblea dell’8».
Carla Cantone, segretaria confederale della Cgil, quell’appuntamento lo vede come fumo negli occhi. E la mette giù dura «Ho comunicato alla presidenza di Sd le ragioni per cui non andrò. Quali sono? Mi pare che al centro dei pensieri di Rifondazione non ci siano stati gli interessi dei lavoratori e dei pensionati. Che invece sono stati al centro dei pensieri dei sindacati. E aggiungo: con la vicenda del welfare si è scavato un solco talmente profondo da indurmi a non andare». Conclusione: la rottura, ad oggi, ancora non c’è. Ma poi, come si diceva una volta, di fronte a un quadro «oggettivamente» mutato, ognuno ne trarrà le conseguenze. Per ora tutti usano la formula: «Nella Cgil si sta benissimo».