I fratelli Valez, caduti al fronte in una guerra senza più reclute

Roy Velez mostra alla telecamera le due piccole pietre piatte e levigate che aveva dato ai figli André e Josè, due amuleti da appendere al collo con una «preghiera del soldato» incisa sopra: «Fa che non tremi, fa che non dimentichi i compagni caduti, fa che possa rivedere la mia casa». Non hanno fatto molto, quelle pietre per i suoi figli. Josè è morto in Iraq, un anno fa, dilaniato lungo una strada di Falluja. André è morto in Afghanistan, in luglio, sulla propria branda alla base, la canna del fucile M16 in bocca. Suicida dopo un anno al fronte. Sono divenuti, ufficialmente, i primi due fratelli caduti nella guerra di Bush sul fronte orientale.
Per loro niente Spielberg, niente Hollywood, niente Tom Hanks. Nessuno poteva, e neppure voleva, salvare il soldato Velez. Il Pentagono spiega che Andrè il suicida aveva «problemi coniugali», che la moglie Ines si era stancata di aspettarlo nella loro casa di Lubbock, in Texas, con i due figli di tre e quattro anni e aveva cercato rifugio presso un altro uomo, una vittima dunque dell´amor perduto, ucciso non dalle milizie nemiche, ma dalle corna. Quello che il Pentagono non spiega è che di «soldati Velez» ci sono migliaia, tra i quasi 200 mila uomini e donne con gli stivali nelle sabbie mobili dei due fronti di guerra, costretti ad allungare i turni sul campo, a vedere raddoppiati d´imperio i mesi «in country», nel teatro di guerra, come dicevano in Vietnam dove almeno tutti sapevano che la rotazione sarebbe stata di un anno, dodici mesi, senza eccezione.
Dunque il numero di divorzi fra soldati al fronte è cresciuto del 45%, il reclutamento è sempre più difficile e il tessuto umano della magnifica «macchina da guerra» americana si sta smagliando come una vecchia calza col filo tirato. Roy Valdez, il padre dei due caduti, non protesta, non maledice, non piange. Rigira i suoi sassi levigati tra le dita e si arrabbia soltanto se qualcuno tenta di dirgli che Andrè è morto per amor tradito. «I miei figli sono morti in guerra, a causa della guerra».
«Raschiare il fondo del barile» è un vecchio stereotipo, eppure è esattamente quello che la Us Army, l´esercito, la forza che deve fornire più corpi alla guerra, è costretta a fare. Con 450 mila persone in servizio attivo nelle unità da combattimento, mantenerne 200 mila tra Iraq e Afghanistan, insieme con le altre migliaia attestate nelle 270 basi americane sparse per il mondo e sul 38esimo parallelo in Corea significa mandare in linea cuochi, musicanti, infermieri, telefonisti e chi capita capita. Se non siamo ancora alla mobilitazione della «territoriale» e dei ragazzini, non manca molto. Questa settimana, il sottosegretario per il reclutamento, David Chu, ha annunciato di avere alzato l´età massima per le reclute a 42 anni. Potranno arruolarsi come reclute uomini e donne che abbiano 41 anni e 364 giorni. «Resteranno nelle retrovie» ha precisato, «perché non siamo così pazzi da mandare un quarantenne in trincea con un ragazzo di 20 anni», come se invece mandare un ragazzo di 20 o 22, l´età dei due fratelli morti, fosse una idea sensata e che il concetto di «retrovia» in un teatro di guerriglia, di mine stradale e di razzi lanciati alla cieca abbia ancora senso.
Il mito dell´esercito meglio addestrato e meglio in forma del mondo, che il pubblico sempre più scettico si sente ripetere nel spot che hanno invaso il prime time televisivo, vacilla di fronte all´imperativo di colmare quel vuoto di otto mila reclute, 72 mila contro gli ottantamila necessari, aperto dalla stagione di caccia 2005. Le prestazioni fisiche minime richieste per l´assunzione della Us Army e per intascare i 18 mila dollari l´anno lordi che rappresentano la paga del soldato, sono state drasticamente abbassate: statura, peso, agilità, corsa, esercizi.
Da 47 crunch per gli addominali si è scesi a 29, da 35 piegamenti sulle braccia a 24 per i maschi e 6 per le femmine. Il tempo minimo sui tremila metri di corsa, che era di 16 minuti e 36 secondi, piuttosto duro (il record italiano sui 3 mila siepi è di 8 minuti e 8 secondi) è oggi di quasi 20 minuti per gli uomini, e 25 per le soldatesse, poco più che jogging. E mentre il governo promette muraglie, barriere, fili spinati e pattuglie armate per tenere lontani i clandestini dalla terra promessa, i militari garantiscono a tutti i clandestini che si arruolino la cittadinanza, non soltanto il permesso di soggiorno, immediatamente al termine dell´addestramento e del giuramento. Neppure più il diploma di liceo è necessario.
Roy Valez mostra la propria «carta verde», appunto il permesso di soggiorno, che lui, clandestino messicano sbarcato dal deserto di Sonora in Arizona una generazione fa, era riuscito a conquistare dopo 20 anni di battaglie legali e i due inutili passaporti blu dei figli caduti, cittadini americani. «Sono morti per difendere la nazione che io avevo scelto per loro e che loro chiamavano patria, non ho rimpianti, solo molta nostalgia. Erano partiti per andare a vincere, nessuno li aveva obbligati». Mentre lui mostrava gli amuleti e i passaporti nella sua casa in Texas, dove da ieri il comandante in capo George Bush è in vacanza nel proprio ranch, a Washington il generale Abizaid e il generale Casey, i comandanti al fronte, raccontavano al Senato che cinque anni dopo la liberazione dell´Afghanistan, e tre e mezzo dopo il «cambio di regime» in Iraq, «la situazione è peggiorata» e «l´Iraq sta scivolando verso la guerra civile». Siamo arrivati a tremila americani uccisi in Iraq e in Afghanistan, tanti quanti persero la vita l´11 settembre del 2001. E la guerra continua, più forte delle bugie e degli amuleti.