A Roma il sangue scorre ancora nelle vene della sinistra. Persino la passione si può trovare nei circoli di Rifondazione comunista. In alcuni, almeno. In altri è più facile incontrare anziani dall’identità inossidabile – le terze e quarte fila del Pci – che giocano a briscola ricordando i bei tempi. I giovani invece sono molto attivi nel territorio e nei movimenti, pur tra molte contraddizioni. Qui erano forti i disobbedienti, oggi i figli di quella storia stanno chi con Casarini e chi con il Prc, conflittualmente come si addice a chi ha 20 o 30 anni. A Cinecittà si gioca a carte, eppure il municipio è presieduto da Sandro Medici, quello della requisizione delle case sfitte, del boicottaggio della Coca Cola, quello che vorrebbe registrare l’etichetta «vino di Roma» prodotto nelle campagne su cui poggiano i Castelli. Poi ci sono le divisioni per mozioni e correnti. In questa puntata ci occupiamo solo dei figli di Genova, a loro chiediamo un bilancio su 14 mesi di governo e un giudizio sull’unità delle forze a sinistra del Partito democratico.
Chiara, figlia d’arte
Chiara Amatucci è militante di Rifondazione al circolo di Spinaceto. Nonostante i suoi 25 anni è nel partito da 10. E’ «figlia d’arte», famiglia comunista. Studia medicina e s’aggiusta con i lavori precari, «promoter, barista, cameriera. Ora sono disoccupata e do una mano alla festa di Liberazione». Chiara è entrata nel circolo prima della rottura con Cossutta e Diliberto, «un’esperienza dolorosa». E’ una compagna di movimento «dove culture diverse lavoravano insieme. Poi il movimento ha preso un’altra strada. L’allontanamento è iniziato dopo la manifestazione e gli scontri dell’Eur nell’ottobre del 2003. Noi abbiamo gestito male la piazza, e abbiamo iniziato a perdere i contatti. Ci sono problemi nel rapporto con i precari, gli sfrattati; ma i movimenti, senza la politica, dove possono andare? E dire che noi eravamo in primafila nei disobbedienti, così come nelle mobilitazioni durante il governo D’Alema. Genova è stata un’esplosione di colori e di suoni e ancora nella battaglie pacifiste i comunisti marciavano insieme a suore e preti. Si è perso molto di quella stagione, e noi abbiamo le nostre colpe». I guai sono legati al modo di stare nel governo? «Io ero d’accordo ad andare al governo per offrire una sponda ai movimenti, fare una buona politica senza aprire la crisi. Ma i margini sono diventati sempre più stretti, mentre verso i giovani precari e i lavoratori anziani si sono fatte scelte sbagliate. Mi trovo in difficoltà quando faccio lavoro politico al mercato e la gente mi interroga sulle pensioni. Il Prc fa del suo meglio, urla tanto ma i risultati sono scarsi. Bisognerebbe lavorare di più insieme alle altre forze politiche che si collocano a sinistra del Pd. Io la vedo così: alle provinciali con una lista unica, ma non con un partito unico perché ci sono ancora troppe differenze».
Danilo Corradi ha 29 anni. La sua avventura politica inizia prima di Genova con l’occupazione della Sapienza e l’ingresso in Rifondazione nel ’95 dove cresce, fino a entrare nell’esecutivo dei Giovani comunisti nel 2002. Ora è nel Comitato politico nazionale del Prc ed è funzionario alla Direzione nazionale, senza incarico dall’espulsione di Franco Turigliatto e quasi senza partito. Il trockjista Danilo non sogna un futuro da «burocrate», «preferirei fare l’insegnante di storia, Fioroni permettendo». Cosa resta dello spirito di Genova nel Prc? «I Giovani comunisti erano il cuore di quell’esperienza, iniziata prima di Genova e passata per Napoli. Non erano più i giovani di partito ma parte del movimento. Consideravamo l’organizzazione un mezzo per produrre conflitti, non un fine. Un percorso interrotto brutalmente, e l’ingresso di Rifondazione al governo è stato il detonatore, mentre il partito si presentava con un volto bertinottiano aperto e attraente all’esterno, ma all’interno le dinamiche riproducevano cultura e prassi da vecchio Pci. Quel dualismo che resisteva nel partito – vecchie sezioni con i militanti impegnati in interminabili partite a carte e i figli di Genova – s’è spezzato con l’ingresso al governo. Il gruppo dirigente giovanile aveva un ruolo importante, ma se l’è giocato puntando sul governo. Tanti giovani sono usciti, chi nei Centri sociali, chi s’è perso per strada. Per me quell’esperienza si è conclusa, il 9 giugno quando il movimento sfilava in corteo contro Bush mentre il partito era in piazza del Popolo. L’opposto di quel che avvenne al Carlini, a Genova, quando il nostro motore era il movimento». Il bilancio sull’esperienza di governo è «totalmente negativo, in uno scenario segnato dalla vittoria del liberismo nei rapporti internazionali – la guerra preventiva e permanente – e nelle relazioni sociali segnate. Tu li hai visti i ricchi piangere? Io no. E i giovani del Prc ora si sentono disarmati, in un contesto socialmente e politicamente negativo». E la cosa rossa, il soggetto unitario a sinistra? «Mi sembra lo sbocco naturale della strada avviata dal partito: alleanza a sinistra e patto di ferro con il Pd al governo. A Napoli e a Genova, e ancora fino al Social forum di Firenze eravamo fuori da questa morsa, costruivamo un percorso alternativo dentro i conflitti. Per me il Congresso sarà uno spartiacque: o si va oltre il Prc per sciogliersi nella cosa rossa, oppure si va oltre per costruire nei movimenti e nei conflitti l’alternativa».
Fernanda, 29 anni, militante alla Garbatella, la sezione più grande d’Italia con i suoi più di 400 iscritti. La sezione è alla «Villetta», luogo storico del Pci romano dove ogni piano, dalla Bolognina in poi, racconta una scissione e la nascita di una nuova storia politica, l’ultima è Sinistra democratica. Anche Fernanda è in Rifondazione da 10 anni ed è cresciuta dentro una storia collettiva di ragazze e ragazzi «con cui abbiamo imparato a stare nel territorio, a Garbatella devi starci tra la gente, ai mercati, a tutti gli appuntamenti. Un’esperienza bellissima che ha dato un senso al mio stare nel partito. Se a 17 anni una sceglie di stare nel partito e non nel centro sociale La Strada, che è qui vicino, è perché incontra un gruppo dirigente giovane, attivo, aperto. Abbiamo conquistato la presidenza del municipio, prima con Smeriglio e adesso con Catarci, ci siamo contaminati con le istituzioni ma in modo positivo, senza perdere il rapporto con le realtà sociali del territorio». Fernanda è cresciuta con i social forum, Porto Alegre, e ha trovato conseguente la battaglia contro la Coca Cola (territorio interdetto alla fiamma olimpica che aveva come sponsor la multinazionale delle bollicine, responsabile della morte di tanti sindacalisti in Colombia) portata avanti dai due municipi presienduti da Rifondazione, Garbatella e Cinecittà. 140 mila abitanti, quartieri popolari e zone residenziali, Garbatella è una città nella città. Fare politica a sinistra vuol dire occuparsi di problemi concreti come la casa, il rapporto con i rom, fino alla «vigilanza antifascista» che qui è un problema meno pressante che nelle borgate dove ci si trova di fronte a una nuova insorgenza fascista. «Guai a lasciare la piazza – continua Fernanda – crescerebbe lo scollamento tra palazzo e gente. E proprio per ricostruire un legame tra società e politica è importante stare al governo. Anche se adesso non nascondo un certo imbarazzo, sono due mesi che parliamo in sezione di quella brutta giornata del 9 giugno, quando l’arrivo di Bush ci trovò divisi. All’inizio del governo Prodi avevamo più autonomia ed eravamo in piazza, a novembre, contro la precarietà. Io il 9 giugno mi sono trovata a fare la spola tra il corteo e piazza del Popolo. Mai più dobbiamo cadere nel trappolone, per noi è un suicidio non stare con i movimenti». E l’unità a sinistra del Pd? «Unità sì, fusione no, guai a sciogliersi. Lavoriamo con le altre forze nei comitati territoriali, soprattutto alla Villetta dove ognuno di noi occupa un piano». Lista unitaria alle provinciali del 2008? «Sì, ma con i 4 simboli».
Bravo Fausto, però…
Marco Ascione, 26 anni, è segretario del circolo Prc di Spinaceto. Anche lui targato Genova, l’esperienza dei disobbedienti e il partito. Riconosce le difficoltà che segnano questa stagione rifondarola ma difende l’esperienza romana e il ruolo di un gruppo dirigente giovane che ha ricostruito un ponte con i movimenti, con Action che a Roma vuol dire qualcosa nella lotta per la casa. «Non siamo subalterni a Veltroni e stiamo recuperando energie che rischiavano di perdersi. Nei circoli i giovani vanno avanti e il partito non è ossificato. Ha ragione Bertinotti sul governo, quando dice “o sei parte del problema o sei parte della soluzione”. Qualcosa resta di Genova: la rottura con lo stalinismo e la concezione leninista dell’organizzazione. I nostri giovani sono nelle reti, l’intelaiatura del territorio, anche se per un ventenne è più facile ritrovarsi nel centro sociale che nel circolo di partito. Ma noi siamo dentro i centri sociali, nelle occupazioni come quella della Factory. Sì, l’esperienza di governo è negativa, ma ora da dove partiamo per ridefinire la nostra collocazione, se non dai problemi reali, dai contenuti, dalle lotte? Dell’analisi di Bertinotti, anche sulla cosa rossa, mi convince il ragionamento, meno il “precipitato” politico. Noi giovani abbiamo più rapporti con i centri sociali che con gli altri partiti a sinistra del Pd. Alleanza, battaglie comuni, ma senza disperderci, ha ragione Ferrero quando esclude lo scioglimento del Prc. Ci unisce il fare nel territorio con Pdci, Verdi e Sinistra democratica, ci divide la cultura politica. Per fortuna le divisioni emerse sulle pensioni si sono in parte ricomposte, grazie a Damiano che ci ha regalato quell’odioso protocollo sul mercato del lavoro».
Massimiliano Smeriglio è in qualche modo il rappresentante della cultura giovanile dei comunisti romani. Di anni ne ha 40 , gli ultimi 11 vissuti in Rifondazione. La sua crescita politica è costante, dalla Pantera all’università, a Genova, alla presidenza della circoscrizione della Garbatella. Oggi è deputato e segretario del partito a Roma dove i problemi non mancano: a quelli legati al bilancio dell’esperienza di governo «si aggiunge la promozione di Veltroni alla guida del Partito democratico. Sarà anche il “sindaco di tutti”, ma insieme è portatore di un’idea della politica e del governo della società con cui non possiamo non avere un rapporto conflittuale. Veltroni pratica a Roma il Partito democratico da tempo, senza dirlo». Smeriglio, a quanto dicono i suoi sostenitori nel partito, ha svolto un ruolo importante nella ricostruzione di un rapporto positivo, magari conflittuale ma positivo, con i movimenti e le aree di giovani che si erano allontanati da Rifondazione. Magari utilizzando lo strumento della Sinistra europea, come nel caso di Action. Oppure con Factory, la ex fabbrica dell’Ostiense occupata. Persino Acrobax, attiva nella lotta al precariato e per la casa, ha un rapporto politico con Rifondazione. C’è una buona intesa con chi lotta per i diritti civili, con il circolo Mario Mieli. «Il movimento non ha le ruote a terra, dice Smeriglio, ma si muove in una situazione politica pesantissima. Tra i giovani che vengono dall’esperienza di movimento e più in generale alla base del partito, nei circoli, prevale un sentimento di grande scontettezza per l’inefficacia del governo, proprio sui temi che hanno sempre caratterizzato l’azione di Rifondazione. Forse abbiamo messo un’enfasi eccessiva nella partecipazione al governo. Sono bastati pochi mesi e poi s’è visto com’è andata con il cosiddetto, irragionevolmente detto, “Prodinotti”. La stiamo pagando a duro prezzo. Ci troviamo tra l’incudine e il martello: se esci ti massacrano, se resti vai verso una morte lenta. Non basta essere nei cortei contro la precarietà, dobbiamo tornare alla conflittualità diffusa. Abbiamo in mente uno slogan per il prossimo appuntamento romano: “La notte bianca/ la morte bianca”, dobbiamo fare un’invasione di campo sul palcoscenico di Veltroni riportando nelle piazze le tematiche della casa, della precarietà, in sintonia con il movimento». C’è chi la chiama competizione a sinistra, perché «anche le alleanze – precisa Smeriglio – possono essere competitive».
I problemi con i lavoratori
Insomma, a Roma si lavora per ricollocare Rifondazione nella città e nella politica. Tra i giovani non c’è la sindrome del ’98, la rottura del partito e con l’Ulivo, «i giovani sono più pragmatici: a Roma veniamo da più di 5 anni di governo, con dentro compagni come Nunzio D’Erme, con una cultura che viene direttamente da Genova, basta con la solita musica “o dentro o fuori”. Ci si chiede non ideologicamente un bilancio di 14 mesi al governo e il governo – dice Smeriglio – non è l’inferno né il paradiso, è soltanto un’opportunità». La federazione di Roma, con i suoi 3.400 iscittti, è quella in cui il tesseramento del 2007 è più avanti: «Siamo al 70%, cresciamo nei territori mentre registriamo difficoltà tra i lavoratori dipendenti, nel trasporto pubblico, all’Acea, negli aeroporti, ai Mercati generali. E qui riscontriamo lacerazioni tra le battaglie in difesa delle condizioni materiali, di lavoro, e quelle per i diritti civili». I rapporti a sinistra del Pd, un’opportunità o una maledetta pillola da inghiottire? «Il prossimo anno in provincia di Roma andranno al voto tre milioni di persone, dobbiamo sfidare in casa Walter Veltroni. Se troveremo un accordo sulle cose concrete, dalla questione della legalità al piano regolatore, dalla casa al modello di sviluppo, la presentazione di una lista unitaria sarà l’approdo naturale. Non un cantiere inerte,un processo vivo. E’ questo approccio il patrimonio culturale che abbiamo ereditato da Seattle e Genova. Penso a una sinistra, né di governo né antagonista, una sinistra». Anche nell’ipotesi che Veltroni non dovesse portare a termine il suo incarico per sopraggiunti motivi superiori «sarà competizione a sinistra, ci batteremo per le primarie e presenteremo un candidato forte». E chi vincerà, magari dovrà vedersela con Fini. «Non sarebbe una passeggiata».
A Roma ogni tanto rispunta lo spettro dei fascisti: «Ci sono bande che praticano forme gravi di violenza, razzismo, omofobia. E’ successo a Villa Ada e poi a Casal Bortone, e nessun responsabile è stato individuato dalle forze dell’ordine anche se i nomi e le sigle li conoscono tutti. Abbiamo un rapporto stretto con i movimenti, con il Collettivo Militant per esempio, per difendere l’agibilità politica dei territori romani. Senza riprodurre gli schemini logori degli anni Settanta, ma insieme a ragazzi che hanno dai 16 ai 25 anni. I problemi maggiori sorgono nelle priferie, dove le condizioni materiali sono peggiori, e queste insorgenze hanno molto a che farecon l’incapacità della politica di proporre senso, appartenenza». (3/continua)