Seppellita la devolution, speravamo di non sentir parlare almeno per un po’ di federalismo. E invece, un mese dopo il referendum, in Lombardia ferve il dibattito persino sul «federalismo autostradale» e, ovviamente, su quello fiscale, l’unico veramente interessante per chi vuole tenersi stretti i propri soldi. Tutto «merito» di Roberto Formigoni che, da politico di lungo corso, è riuscito a rovesciare un doppio smacco in una ripresa di protagonismo.
Puntava a succedere a Berlusconi il governatore lombardo. Per questo si era fatto eleggere senatore. Silvio, a sopresa, ha perso solo di misura e, per il momento, resta il capo della Casa delle libertà dove il centrista Pierfendinando Casini presidia saldamente il campo per futuri rimescolamenti di carte. A Roma Formigoni sarebbe rimasto nell’angolo, meglio continuare a fare il primo attore al Pirellone. La bocciatura della devolution è stato il secondo smacco per Formigoni, appena temperato dalla vittoria dei sì in Lombardia e in Veneto. Facendo di necessità virtù, il governatore lombardo ha rilanciato proprio sul terreno su cui la Casa della libertà ha subito la più rovinosa delle sconfitte. Il come ve lo spieghiamo tra poco. Diciamo in anticipo che con il ritorno di fiamma del federalismo, effimero o duraturo che sia, Formigoni un risultato l’ha già ottento: ha tirato dalla sua parte Ds e Margherita, spaccando a tal punto l’opposizione di centrosinistra che vien da chiedersi se al Pirellone l’Unione esista ancora.
L’operazione di Formigoni prende avvio il 25 luglio, dalla prima riunione del cosiddetto «tavolo Milano», presenti Prodi e il sottosegretario Enrico Letta per certificare fisicamente quanto il governo abbia a cuore la «questione settentrionale». Si fa un gran parlare di infrastrutture ed è in quella sede che Formigoni «accenna» a Prodi e «discute» con Letta la sua idea: più autonomia per la Lombardia, ottenuta con l’articolo 116 della Costituzione vigente, ampliato parecchio dalla riforma del Titolo V approvata nel 2001 dal centro sinistra (vedi scheda). In buona sostanza è un modo per far rientrare dalla finestra quello che la bocciatura della devolution ha fatto uscire dalla porta. Più poteri legislativi, più competenze esclusive per le Regioni che ne fanno richiesta. Sottinteso, quelle ricche e forti che possono permetterselo. E’ il cosiddetto federalismo à la carte, uno dei tanti misfatti della riforma costituzionale ulivista. La differenza rispetto alla devolution è che la maggior autonomia va contrattata tra la Regione che ne fa richiesta e il governo e il parlamento nazionali, il che rende necessario un accordo bipartisan. Il 26 luglio al Pirellone il centro sinistra vota compatto contro il Dpef regionale della giunta Formigoni. Alla sera, in un noto hotel milanese, si ritrovano attorno allo stesso tavolo il sottosegretario Letta, l’assessore Cattaneo (braccio destro di Formigoni) ed alcuni consiglieri regionali dei Ds e della Margherita. La mattina dopo si capirà che non si sono limitati a cenare. Formigoni, in aula, tira fuori a sorpresa un ordine del giorno «sulle priorità e le richieste della Regione Lombardia al governo nazionale». Firmato anche da Ds e Margherita che poi lo voteranno. Annichilito Riccardo Sarfatti, portavoce dell’Unione, si astiene. Votano contro Verdi, Italia dei valori, Pdci e Rifondazione.
La ciccia dell’ordine del giorno sta nella coda. L’ultimo punto impegna la giunta ad «attivare le procedure che l’attuale Costituzione consente per l’assegnazione alla Regione Lombradia di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia». Il penultimo impegna la giunta a continuare il confronto con il governo nazionale per attuare «i contenuti dell’articolo 119 della Costituzione sul federalismo fiscale nel rispetto dei principi di autonomia, responsabilità, crescita competitiva e sussidiarietà». Gli ultimi due termini non compaiono nel 119. L’articolo semmai parla di solidarietà sociale che, guarda caso, l’odg non cita. L’omissione si spiega leggendo il seguito: «con l’obbligo di salvaguardare la scala delle capacita finanziarie dei territori delle singole Regioni e consentire una partecipazione al capitale di Riscossione Spa in proporzione al peso dei gettitti tributari regionali». Azzardiamo una traduzione terra terra: la ricchezza deve restare nella Regione dove è prodotta.
Incassata la larga approvazione del documento, Formigoni illustra in numerose interviste la sua road map per quello che definisce il federalismo «funzionale». Nulla di «eversivo», dice, vogliamo solo fare quel che prevede il Titolo V della Costituzione, «trasferire alla Regione Lombardia competenze e materie che sappiamo gestire meglio di quanto faccia lo Stato». Per cominciare, sanità, istruzione, energia, giudici di pace. Una volta trasferite le competenze, seguirà necessariamente il trasferimento delle risorse. «Il federalismo fiscale a cui stiamo pensando si basa sui grandi tributi, una parte dell’Irpef e una parte dell’Irap». Per fare questo cammino occorrerà «aprire un varco» tra la giunta lombarda di centro destra e il governo nazionale di centro sinistra. «L’approvazione di Ds e Margherita del nostro ordine del giorno inaugura una nuova stagione di confronto costruttivo».
Diessini e margheritini lombardi, richiesti di motivare il loro sì, gonfiano il petto orgogliosi: «E ci mancherebbe che non fossimo d’accordo ad attuare il Titolo V così come l’abbiamo riformato noi cinque anni fa…». La sinistra-sinistra si mette le mani nei capelli e sospetta – a pensar male qualche volta ci si azzecca – che dietro all’abbraccio del Pirellone ci sia uno scambio di favori tra Prodi, o almeno tra il tandem Letta-Bersani, e Formigoni. Un patto di non belligeranza: la Lombardia non crea problemi a Prodi che ne ha già tanti, palazzo Chigi restituisce la cortesia non silurando il progetto di Formigoni. Progetto che nella cena di Arcore di lunedì scorso riceve l’imprimatur di Bossi e Berlusconi e recepito dal governatore del Veneto Galan. An e Udc, tagliate fuori, restano perplesse.
Perplessità e distinguo, con il passare dei giorni, fanno breccia anche tra Ds e Dl non lombardi. Il presidente della Calabria Agazio Loiero «avvisa» Prodi: «Nel federalismo asimmetrico c’è il rischio che le Regioni che chiedono il trasferimento di funzioni tentino d’ottenere maggiori trasferimenti di quote erariali invece di utilizzare la maggior autonomia tributaria loro concessa». Per il Sud sarebbe «una catastrofe», mentre le Regioni ricche avrebbero più poteri «senza costi», cioè senza imporre nuove tasse. Quindi, prima d’usare il 116, vanno messe le cose in chiaro sul 119, sul federalismo fiscale. In sostanza, e tra le righe, Loiero chiede a Prodi se si è reso conto delle conseguenze di un placet alla proposta Formigoni. Identico messaggio arriva a Palazzo Chigi da Rifondazione. Mugugna anche la sinistra diessina. Due giorni fa la ministra per gli affari regionali, Linda Lanzillotta, è costretta ad arginare lo straripante Formigoni e a smentire Ds e Margherita lombardi: «Non esiste la possibilità che alcune regioni si attribuiscano unilateralmente altre funzioni, finanziate da risorse prodotte nel territorio». E’ «prioritario» attuare il federalismo fiscale. Solo dopo, le Regioni potranno chiedere più autonomia ricorrendo all’articolo 116. Accaparrarsi subito nuove competenze, come vuol fare Formigoni, è un modo per allungare le mani e pregiudicare la futura ripartizioni delle risorse tra Stato e Regioni. Detto altrimenti: il federalismo a due velocità è per definizione antisolidale. Va imbrigliato preventivamente dal federalismo fiscale solidale. Cha da anni non si riesce a fare perchè, almeno in Italia, è un ossimoro.
Dubitiamo che lo stop della ministra Lanzillotta chiuda la vicenda. Dalla ribalta del meeting di Rimini Formigoni tornerà a vantare il suo federalismo e a fare avances al pezzo di centro sinistra, purtroppo vasto, che al Nord la pensa come lui. Il sì al suo ordine del giorno di Ds e Margherita non è «solo» frutto d’insipienza politica. «Segnala una profonda condivisione di valori antisolidali», dice preoccuato Mario Agostinelli, capogruppo del Prc al Pirellone, «interpreta la questione settentrionale in modo meramente quantitativo, più soldi, più strade e tutto è risolto». Non è così. Anche la ricca Lombardia, ammette Agostinelli, ha un problema di risorse. «Ma l’Unione deve differenziarsi da Formigoni sia sul come reperlirle che sul dove usarle». C’è una crisi idrica spaventosa in Lombardia, la rete perde più della metà dell’acqua trasportata. Ci sono migliaia di anziani non autosufficienti e privi di assistenza. «Queste cose non sono contemplate nella road map federalista di Formigoni. Chi si accoda, oltre a spaccare l’Unione, cosa ci sta a fare nel centro sinistra?».