I fantasmi del fiume Ohio

Porkopolis, così era soprannominata Cincinnati nei decenni del suo primo forte sviluppo commerciale ed industriale, tra gli anni ’20 e gli anni ’80 dell’Ottocento. Incastonata nell’estremo sud-ovest dell’Ohio ai confini con Indiana e Kentucky e attraversata dal fiume Ohio, Cincinnati è nel 1860 una città di 160 mila abitanti (tra le prime dieci degli Stati uniti) e il terzo centro industriale del paese. E’ l’epoca dell’espansione ad ovest, sorretta dalle grandi opere ferroviarie e di canalizzazione artificiale che cominciano a connettere le città settentrionali della costa atlantica con la regione dei Grandi laghi, da Detroit a Chicago, e con quella che si distende a meridione di questi, compresa tra la catena degli Appalachi ad est, il fiume Ohio a sud e il Mississippi ad ovest (dove l’Ohio poi confluisce). Un flusso sempre maggiore di immigrati arriva dalla costa atlantica e ingrossa le città di quello che allora si chiamava il Nordovest (oltre Detroit e Chicago, Buffalo, Cleveland, Toledo, Pittsburgh, Dayton, Columbus, Indianapolis ed appunto Cincinnati), destinato di lì a poco ad ospitare uno dei triangoli industriali maggiori di tutto il paese, sede storica dell’industria metalmeccanica e poi automobilistica e dell’industria di trasformazione di carni e prodotti agricoli. Tra gli anni 20 e gli anni 40 viene infatti terminato il grande progetto dei Canali Erie e Miami che, in una serie di complessi passaggi fluviali e imponenti catene di chiuse, collegano lo Stato di New York e la costa atlantica con l’ovest, le citta’ dei Grandi laghi e in particolare del lago Erie, e infine connettono queste con l’area di Cincinnati, il fiume Ohio, il Mississippi. I collegamenti ferroviari seguono.
L’immigrazione di Cincinnati è in buona prevalenza tedesca, attirata prima dalla consonanza con le comunità del fondamentalismo protestante di origine svizzero-tedesca che vi si erano previamente insediate e ingrossata poi da coloro che fuggivano le persecuzioni successive al fallimento dei moti liberali tedeschi degli anni ’30 e ’40 (gli immigrati “quarantottini” venivano chiamati), qindi da coloro che le città e le campagne tedesche non riuscivano a supportare e che le comunità statunitensi “affini” in piena crescita manifatturiera chiamavano ad occupare posti di lavoro di una certa qualificazione. Se il primo insediamento cittadino è lungo le rive del fiume (che attraversa Cincinnati grosso modo est-ovest), il canale che giunge da nord e piega verso ovest entrando nell’area cittadina forma una sorta di confine settentrionale dell’insediamento originario. Lungo il percorso del canale, e soprattutto lungo la sua riva settentrionale e nelle aree adiacenti che costano poco si insediano presto le attività industriali e manifatturiere della comunità tedesca, dai birrifici (nel 1860 una quarantina) ad un articolato settore manifatturiero-artigiano di macchine utensili, agli stabilimenti di preparazioni e confezionamento delle carni e degli insaccati di maiale, Porkopolis appunto.
La Cincinnati-bene che vive nel centro storico battezza il canale “Reno” e “Oltre-Reno” l’area dove vivono gli immigrati tedeschi, che peraltro contribuiscono in maniera decisiva a rendere lo stesso quartiere un vivo centro culturale ed economico, il maggiore e il meglio costruito della città. Nasce così l'”Over-the Rhine”, centro degli scontri e dei disordini di questi giorni successivi all’uccisione del diciannovenne Timothy Thomas, ultimo di una serie di persone freddate dalla polizia cittadina.
Nei decenni tra Otto e Novecento il quartiere si sviluppa ancora con altri apporti di immigrazione in cerca di lavoro industriale. L’epoca dei canali finisce e con essa il “Rhine”, che dopo una privatizzazione e l’abbandono successivo viene nel 1919 prosciugato e coperto per far posto ad una metropolitana e ad una nuova direttrice stradale. La Grande Guerra accende l’isteria anti-tedesca delle altre comunità, i libri in tedesco vengono eliminati dalle biblioteche pubbliche, l’insegnamento del tedesco abolito nelle scuole, il quartiere fatto oggetto di pesanti “attenzioni”. Piano piano la comunità “ricca” tedesca si sposta altrove, conservando solo alcuni centri produttivi e culturali, che decadono negli anni della Depressione. Dopo il Secondo conflitto mondiale, altri immigrati – questa volta provenienti dalle diseredate comunità montane degli Appalachi o dal sud ancora razzista -trovano nell’Over-the Rhine un quartiere dove le case costano poco e la solidarietà operaia che ancora vi era viva li aiuta a sopravvivere. Ma il quartiere – abbandonato dalle amministrazioni cittadine e dai proprietari degli stabili – decade ulteriormente e vi si concentra una popolazione – in buona parte “non bianca” – che ha oggi per il 90% redditi sotto il livello di povertà, i più bassi livelli di scolarizzazione di tutta la città e uno dei più alti di tossicomanie. I piani di “rivitalizzazione” degli ultimi anni vedono sia il genuino sforzo degli abitanti di far rinascere una vita economica e culturale nel quartiere, sia i tentativi della speculazione edilizia di riutilizzare e “sviluppare” parte del quartiere, con conseguenti aumenti dei prezzi dei fitti e cacciata di parte degli abitanti (oggi circa 12 mila dai 47 mila nei decenni del suo massimo sviluppo).

Timothy Thomas è stata la quindicesima persona (tra cui un ragazzino di 12 anni) ad essere uccisa dai poliziotti di Cincinnati dal 1995. Tutte le persone uccise avevano il colore della pelle nero. Ma per capire, non bisogna cadere nella immagine-trappola che sempre viene messa avanti in questa società, una immagine-trappola tanto più potente perché tutti i fatti sembrano portarvi e gli stessi protagonisti-vittime aderirvi, ma nondimeno una trappola. La società americana se la cava sempre in questi casi ponendo avanti il problema del razzismo e dell’eccessivo uso della forza, leggi brutalità, della polizia, nonché piagnucolando sulle comunita’ “etniche” diseredate che producono crimine e che vanno salvate con i gruppi di volontariato più o meno religioso. Se la cava così, sostenuta dai suoi media che dicono del colore della pelle di una persona prima di aver detto chi sia e cosa stia facendo (non ci sono rivolte, ci sono rivolte “dei neri”, non ci sono poveri che chiedono giustizia o lavoro, ci sono “immigrati” di origine ispanico-portoricana-asiatica e quant’altro che protestano, eccetera). Se la cava così, con “il problema del razzismo”, per non dire sistema capitalistico, per non dire classe dominante che fonda il suo potere innanzitutto sulla divisione e lacerazione dei gruppi che dominanti non sono, per non dire quanto è intrinsecamente violento il suo sistema “democratico”, fondato in realtà sul darwinismo sociale più radicale e radicato, che abbandona al suo destino chiunque non sembri farcela. Per non dire, infine, che a creare la spirale della violenza e a fermare tutti i tentativi di togliere le armi dalle case dei cittadini statunitensi sono i marci profitti di centinaia di aziende e di milioni di azionisti che supportano la fabbricazione di armi personali di tutti i generi, che hanno raggiunto oggi la bellezza di 190 milioni di esemplari nelle mani di una popolazione di 283 milioni di abitanti.
Ma forse bisogna andare anche più in là, nel tempo, per capire l’ossessione mortale – prevalente nei “bianchi” statunitensi – per la “sicurezza”, per il “quartiere sicuro”, la “scuola di razza pura”, che da un lato produce la loro voglia di essere armati anche nelle situazioni più tranquille, dall’altro garantisce consenso, sostegno ed impunità alle cosiddette forze dell’ordine, soprattutto quando “mettono ordine” nei quartieri presunti turbolenti dei poveri, ovvero delle “minorities”, o quando fanno secco qualche ladruncolo. A Cincinnati, andare più in là significa arrivare alle sue origini.
Erano i primi anni ’90 del Settecento e l’avamposto statunitense di Losantiville (Territori del Nordovest), era stato da poco (1790) rinominato Cincinnati dal primo “governatore” di quei Territori, il generale Clair, in onore dell’omonima società di ufficiali che avevano combattuto per la Rivoluzione. I popoli Miami, Potawatomi, Shawnee, Delaware, Ottawa, Chippewa e Iroqui (riuniti nella cosiddetta Confederazione del Nordovest) stavano disperatamente tentando di riprendersi i territori della regione contigua alla città da cui li avevano cacciati l’avanzata dei coloni dei nuovi Stati uniti, gli intrighi e i tradimenti degli inglesi cui si erano incautamente alleati, la potenza di fuoco del nuovo esercito “rivoluzionario” statunitense. Nel 1794, la battaglia decisiva, detta di Fallen Timbers perché i guerrieri della Confederazione del Nordovest avevano eretto una sorta di barriera di tronchi aspettando l’assalto dell’esercito guidato dal generale Wayne. Una rovinosa sconfitta aveva aperto le porte alla capitolazione della Confederazione. Di lì a poco sarebbe stato “firmato” uno dei numerosi “trattati” con cui le popolazioni native, disperse e decimate, avrebbero “accettato” di cedere agli Stati uniti i territori su cui avevano sempre vissuto. I coloni trionfavano, finalmente sicuri nella loro Cincinnati, ma forse non abbastanza sicuri della legittimità dei loro possessi da non farsi inseguire dai fantasmi del loro peccato originale e passarli alle generazioni successive.