L’atroce fatto di Mosul, dove due soldati americani intrappolati con la loro jeep
in una coda, sono stati raggiunti da colpi di arma da fuoco e poi, probabilmente ancora vivi, sgozzati, linciati, denudati da una folla inferocita, dovrebbe perlomeno servirci per smetterla di raccontarci la pericolosa favola che in Iraq sono all’opera solo terroristi residuali seguaci di Saddam ma che la popolazione non aspettava altro che di esse liberata dal tiranno.
Gli iracheni, in gran parte, ci odiano. E non potrebbe essere diversamente. Anche se fossimo andati in Iraq con le migliori intenzioni (ma in realtà siamo lì per il petrolio e per il controllo di una zona strategica) abbiamo trattato gli iracheni come se fossero un razza inferiore. Come se fosse loro estraneo quell’orgoglio nazionale di cui anche noi soprattutto ultimamente, ci riempivamo la bocca. Si può ben aver detestato Saddam ma non si può tollerare che eserciti stranieri bombardino, devastino, distruggano il Paese e poi pretendano anche di essere ringraziati perché cercano di ricostruirlo, decidendo da chi deve essere governato e come.
Anche gli altri popoli hanno una memoria storica e quella degli iracheni non ha bisogno di essere poi tanto lunga. L ‘Italia intera ha pianto per i 19 di Nassirya, ma quante famiglie irachene piangono ancora i 160mila civili, fra cui 32.165 bambini, quando nel 1991, per non affrontare fin da subito lo straccio di esercito iracheno, battuto persino dai curdi, bombardammo per due mesi Bagdad e Bassora? Ci si può forse stupire se oggi qualcuno dei padri o delle madri di quei bambini, che non sono meno bambini dei nostri, vedendo due soldati americani inermi si trasforma in una belva umana?
E l’odio antioccidentale c’è al nord come al sud, fra i sunniti come fra gli sciiti. Gli sciiti non possono aver dimenticato l’atroce scherzetto che gli fecero gli americani nel 1991 quando prima li aizzarono perché si sollevassero contro Saddam e poi,ottenuti i loro scopi, risparmiarono il dittatore e la guardia repubblicana, perché meglio li facessero a pezzi insieme ai curdi.
Noi crediamo di poter risolvere tutto giocando con le parole, chiamando “missioni umanitarie” le aggressioni, “operazioni in pace” le invasioni e le occupazioni, “effetti collaterali” le stragi. Ma i fatti, soprattutto quando si tratta di ferite brucianti contano più delle parole. E in Iraq, parlano i fatti.