Che i ds abbiano deciso di partecipare alla manifestazione contro il G8 è positivo: in quel corpaccio semiparalizzato l’elettroencefalogramma non è ancora piatto, sono almeno in grado di sentire il clamore che da due mesi si è alzato su Genova, e assieme alla lotta dei metalmeccanici è la sola voce forte della società italiana dal Duemila. Per un partito che era dei lavoratori e oggi non rappresenta più di sedici italiani su cento, è un sussulto tardivo, ma non ovvio. Prima del 13 giugno i ds al governo erano seduti fra i G8, e se qualcuno fra loro nutriva dei dubbi stava zitto. Oggi si spostano dall’altra parte, è una discontinuità e non potrà non essere una rottura.
E lo sarà sul nodo decisivo dell’identità diessina. Amartya Sen, da economista progressista, può dire che non si può essere contro la globalizzazione perché il mercato aumenta la ricchezza e la sua circolazione. Ma un partito sia pur vagamente socialista deve precisare che la globalizzazione cui siamo sottoposti è quella del capitale vincente, dei suoi poteri e dei suoi apparati, e dipende in primo luogo dagli interessi degli Stati Uniti e perciò comporta l’aumento delle disegueglianze e dell’esclusione. E deve dire se sta con questo modo di produzione o se il suo problema è come efficacemente contrastarlo. Fino a ieri ci stava. Se fosse rimasto al governo forse non avrebbe trasformato Genova nella gabbia surrealista realizzata da Scajola, ma non sarebbe certo andato oltre il ministro Ruggiero. Come Blair e Schröder, D’Alema ha visto in questa globalizzazione, che è quella del capitale multinazionale, il coronamento della storia. E se domani i ds dicessero che gli va sempre bene, che basta aggiungere la globalizzazione dei diritti, sarebbe permesso di riderne.
Una nemesi storica ha voluto che l’esibizione muscolare dei Grandi cada nel pieno del difficile congresso dei ds sconfitti e mentre si prepara quello della Cgil. La protesta, che né i ds, né la Cgil hanno auspicato né suggerito, piomba come una patata bollente su due organismi mal messi e li costringe ad accelerare le scelte, scomponendo i tempi decisi dagli apparati. E a parlare più chiaro. Una società che ha ripreso voce e voglia di protagonismo sarebbe infatti ben poco interessata alle vicende tutte interne d’un partito e d’un sindacato in crisi, e certo reagirebbe aspramente a eventuali soluzioni tattiche, che degli apparati sono la specialità. Dopo Genova, nelle settimane immediatamente a venire, i ds saranno costretti a dire da dove vogliono ripartire.
D’Alema lo ha già fatto; non ha nulla da cambiare, mantiene la rotta, la colpa del naufragio è stata del nostromo, avanti tutta. Ma la sinistra o il centrosinistra? Cofferati, Salvi e Trentin dicono che bisogna ripartire dal lavoro, Mussi e Folena dalle alleanze. Ma anche ripartire dal lavoro può voler dire cose diverse. Ripensare una strategia del conflitto fra capitale e lavoro a livello del terzo millennio, appunto la globalizzazione, o pensare che basterebbe aggiungergli una carta dei diritti. Chiamare le cose con il loro nome non è un’operazione incruenta, e avrà conseguenze immediate. Berlusconi è il concentrato del G8 in versione casareccia: come per il G8, ai ds toccherà di decidere, tempo meno di un mese, se andranno a un’opposizione vera, ricostituendosi una base sociale, o continueranno a menare il can per l’aia, e a dissanguarsi un anno dopo l’altro.