«Nel nostro paese si fa sempre più evidente la carente rappresentanza politica di una parte significativa della sinistra. I tentativi, fatti anche sul manifesto, di avviare iniziative volte a colmare questo vuoto preoccupante non hanno avuto, finora, esito positivo». Iniziava così un articolo apparso su questo giornale il 18 novembre 2000 intitolato «Masochismo a sinistra». Da allora, quel «vuoto» è rimasto tale. Nel frattempo: sono state perse le elezioni del 2001, anche perché nell’ambito del centro sinistra i professionisti della politica hanno ignorato anche le regole del sistema maggioritario vigente; il governo Berlusconi ha superato nei fatti anche le peggiori aspettative, ma il barometro dei consensi politici continua a essere influenzato, in un senso o nell’altro, solo dalle sue mosse, sostanziali o propagandistiche che siano; la carenza d’iniziativa dell’opposizione è tale che, al suo interno, un confronto serio per definire un benché minimo programma di governo non è stato nemmeno avviato (anche se di tentativi finti ce ne sono stati diversi); viceversa si comincia a litigare (e a spaccarsi) per le «poltrone», con tutto ciò che ne consegue anche in termini d’immagine. Un risultato negativo alle prossime elezioni politiche e un secondo quinquennio di «berlusconismo» avrebbero conseguenze devastanti per la stessa coscienza civile del paese; eppure, allo stato attuale, qualsiasi forma di ottimismo sulla possibilità di evitare quel disastro sarebbe del tutto fuori luogo. Le responsabilità della sinistra sull’esito elettorale non saranno secondarie; ma il ruolo che potrà svolgere in quella circostanza dipende da come, più in generale, la sinistra riuscirà a risolvere i suoi problemi di identità. Quella che stiamo attraversando è una fase di transizione storica significativamente segnata, nei fatti e nelle idee, dalla fine del comunismo reale e dall’avvento del neoliberismo. La sinistra, dunque, non poteva non essere particolarmente colpita dai cambiamenti epocali in corso. Al suo interno, gli sforzi per una ridefinizione della propria identità socio-culturale e i tentativi di sostenerli e concretizzarli mediante un’adeguata ricomposizione della rappresentanza politica hanno avuto esiti diversi.
La componente più moderata della sinistra ha convintamente intrapreso un percorso di mediazione tra istanze sociali e principi neoliberali che politicamente viene sorretto dal progetto di unificazione con i partiti di centro dell’alleanza progressista (che, peraltro, non sembrano tutti entusiasti). Le forze della sinistra «radicale» (questa qualificazione simmetrica è un termine in uso, ma bisognerebbe pensare ad altro) di fronte al compito – obiettivamente più complesso – di fare i conti con le proprie radici culturali e politiche, e di attualizzarle e modificarle senza abdicare a visioni altrui non meno consumate dalle storia, rimangono disunite e paralizzate; fanno fatica a cogliere e metabolizzare gli stimoli positivi provenienti dalle elaborazioni intellettuali e dalle molteplici esperienze nazionali e internazionali di critica al neoliberismo e al nuovo assetto del potere mondiale. L’ineludibile esigenza di coniugare il rinnovamento della loro comune identità di sinistra con la costruzione di un corrispondente assetto organizzativo trova forti ostacoli non solo (e forse non tanto) nella definizione di una linea comune da far valere nella complessiva alleanza di centro-sinistra, quanto nei contrasti tra gli apparati esistenti che, almeno finora, hanno fatto premio sull’esigenza generale, ben più rilevante e diffusa, di ricomporre questa parte significativa della sinistra.
Su questo giornale, e in altri ambiti che hanno coinvolto partiti, sindacati e loro correnti, associazioni, movimenti e intellettuali non sono mancati sforzi unitari di analisi e di progettualità politica per tentare di fare uscire la sinistra dal suo colpevole e pericoloso immobilismo. Per il 15 di gennaio il manifesto meritoriamente ripropone un nuovo appuntamento. Naturalmente sarebbe ingenuo aspettarsi contributi decisivi da una singola assemblea, ma è auspicabile che questa sia un’occasione che contribuisca a organizzare – come è necessario da tempo – un confronto stabile e strutturato di idee, progetti ed esperienze capace di tradursi in iniziativa politica. La stessa assemblea del 15 dovrebbe evitare di tramutarsi nella solita passerella di chi, pur non potendo «rimanere fuori» o negare la necessità di un confronto, di fatto lo ostacola, impedendo che esso sia reale e dunque finalizzato a un coordinamento concreto e positivo. La questione da capire è che per questa nuova sinistra non ci sarà modo di trovare la propria identità se non ci sarà anche la capacità di darsi una propria efficace rappresentanza politica capace di preservare lo spazio anche istituzionale necessario sia alla definizione delle sue tematiche e dei suoi valori sia alla loro traduzione in progetti concreti e vincenti nell’organizzazione della società.
Negli ultimi tempi, l’incertezza nella creazione di un coordinamento politico ha fatalmente pregiudicato anche il confronto e la progettualità sui contenuti per i quali la nuova sinistra dovrebbe battersi. I tentativi di definire i punti fermi programmatici da far valere nella cosiddetta Gad segnano il passo; invece cresce la confusione e l’incertezza su questioni per le quali il dibattito nella sinistra sembrava aver raggiunto dei risultati condivisi. L’attività di delineare una strategia unitaria di politica economica alternativa alla visione neoliberista, che pure era stata intrapresa con risultati apprezzabili, si è interrotta e gli esiti sono preoccupanti. Per esempio, nella discussione sulla pessima legge finanziaria appena approvata dalla maggioranza, le forze dell’opposizione hanno giustamente criticato l’iniquità dei suoi effetti redistributivi e hanno anche prefigurato una diversa curva delle aliquote fiscali; ma nel farlo hanno implicitamente accreditato l’impostazione governativa della riduzione delle entrate tributarie e – inevitabilmente – anche il taglio della spesa pubblica. Nell’ambito della Gad, per quanto si cerchi di trattenerla a uno stato latente, si va rafforzando la concezione che «nel concreto» lo stato sociale dia luogo a spese che sono macroeconomicamente insostenibili e che aggravano il costo del lavoro e la competitività di prezzo (la competitività da innovazione e il ruolo del capitale e della sicurezza sociale vengono relegati ai bei discorsi «politici»); dunque, si renderebbe necessario sostituire in misura significativa l’intervento pubblico in campo sociale con l’offerta di mercato e con le assicurazioni private finanziate a capitalizzazione (con tutto ciò che ne consegue in termini sia di discriminazione delle possibilità d’accesso sia di peggioramento delle potenzialità economiche).
Uno dei compiti più importanti e urgenti della nuova sinistra, da tradurre in contributo vincolante per la definizione del programma di governo della Gad dovrebbe essere proprio quello di contrastare efficacemente le strategie di contenimento e di logoramento dello stato sociale; a tal fine, si possono e si devono mettere in campo non solo le proprie scelte di valore etiche e politiche, ma anche le numerose e solide argomentazioni economiche affermatesi nel dibattito teorico e nella valutazione dell’esperienze empiriche le quali confermano il ruolo progressivo di efficienza e di innovazione produttiva che può essere svolto dalle istituzioni del welfare state.
Queste esemplificazioni, qui solo accennate, danno conto di questioni centrali per la definizione dell’identità della sinistra e per il contributo determinante che essa potrà dare allo sviluppo economico e civile del paese nell’attuale fase di transizione storica; ma la possibilità che tali obiettivi vengano efficacemente perseguiti dipende non solo dall’abilità di valorizzare i risultati intellettuali e le esperienze già acquisiti e dalla capacità di procedere alle necessarie ulteriori elaborazioni analitiche e progettuali; ma anche dalla coesione e dalla conseguente forza sociale, politica e istituzionale di cui quelle attività potranno giovarsi.