I cpt di Giovanardi a porte chiuse

Lanciare il sasso e poi nascondere la mano. Prima l’invito ad entrare nei centri di permanenza temporanea, e poi negarne l’accesso. Tutto nasce da una dichiarazione di Daniele Giovanardi, fratello gemello del più illustre ministro per i rapporti col parlamento, che qualche giorno fa aveva spalancato le porte dei suoi cpt di Modena e Bologna ai giornalisti, per costatarne la trasparenza. Centri talmente efficienti e funzionali da essere considerati, sue parole, come «modello emiliano intelligente da esportare».
L’insolito invito, insolito perché l’ingresso nei centri è sempre stato off-limits alla stampa, è stato subito preso alla lettera da Leonardo Masella, capogruppo regionale di Rifondazione Comunista in Emilia Romagna, che ha scritto al Prefetto di Bologna chiedendogli il permesso di visitare i due Cpt emiliani.
La risposta della prefettura è stata, come da previsione, negativa. «Da consigliere regionale – dice Masella – posso visitare le carceri, gli ospedali, le case di cura, ma non mi consentono di visitare un cpt, cioè un centro di permanenza per immigrati che potrebbero non aver commesso nessun reato».
Ma per «esportare» questo modello prima bisogna vederlo, e se ciò viene negato il sospetto che sotto ci sia qualcosa di poco chiaro fa sorgere più di un dubbio. Ed infatti è lo stesso capogruppo di Prc, che nei due cpt gestiti da Giovanardi è riuscito a mettere piede prima del niet ministeriale, a sciogliere l’arcano. «Ho visto coi miei occhi – racconta – il modello emiliano dei cpt: immigrati in condizioni penose, sbarre alle finestre, gabbie di acciaio, recinto di filo spinato, sorveglianza militare». E ancora: «immigrati feriti da pestaggi e intontiti da psicofarmaci, promiscuità tra chi non ha commesso alcun reato ma solo sprovvisto di documenti e coloro che sono stati arrestati in flagranza di reato». Alla faccia del «modello da esportare».