I conti della Vicenza che conta

L’oro di un tempo è finito… a brillare in banca. La devozione si esaurisce sull’altare della madonna di Monte Berico. Solo Corso Palladio scandisce inevitabilmente la passerella di una città-paese, simbolo del Veneto campanilistico perfino senza più essere la «sacrestia d’Italia» come all’epoca di Mariano Rumor.
Vicenza conta poco più di 100mila anime. Convive con gli americani del «villaggio della pace», ma si è dovuta abituare a tutti i generi di extracomunitari. Non ha mai avuto l’Università (anche se Altavilla ospita il Cuoa, a misura di industriali) ma si accontenta di studiare le vetrine dei centri commerciali, il Warner Village e i tassi dei mutui. Si ostina ad esporre in Fiera l’immagine di «VicenzaOro» (fino a domenica), anche se la produzione orafa è crollata del 13,6% nell’ultimo anno e i laboratori artigianali arrancano nel mercato del vero lusso. Ha un sindaco forzista confermato a furor di popolo, che ha sposato una funzionaria comunale con Berlusconi come testimone. E una presidente leghista della Provincia, arrivata alla fine del secondo mandato (si vota in primavera).
Un po’ come Treviso, il paesotto vicentino è marchiato a fuoco dall’anima di una comunità che non contempla eccezioni. Nella Marca, almeno, brindano a Prosecco e si divertono con l’aggiornamento di «Signore e signori». A Vicenza, si rimpiangono i bei tempi del Real Lanerossi di Paolo Rossi e si consolano affollando i capannoni trasformati in locali di lap dance e affini.
Ieri la cronaca del Giornale di Vicenza (proprietà degli industriali) sfogliava otto pagine-lenzuolo tra il sì di Prodi alla maxi-base Usa e il no di chi è saltato sui binari della stazione. Ma la vera città si legge lontano dalla politica, perché qui il doroteismo come arte della mediazione e culto della rappresentanza degli interessi veri non è mai morto. Anzi. Vicenza si preoccupa di salvare formalmente la ricchezza spirituale, ma resta concentratissima sulla cassaforte.
La Banca Popolare conta 500 sportelli, ma soprattutto 1,8 miliardi di euro in cassa. Controlla la Cassa di risparmio di Prato e un’altra banca siciliana. Ha perso l’acquisizione della Popolare di Intra, a Verbania, sconfitta dai trevigiani di Veneto Banca. Alla presidenza della Popolare Vicenza impera Gianni Zonin, l’uomo delle omonime cantine. Lo stesso che recentemente ha ipotizzato una «cordata veneta» per Alitalia.
Del resto, Vicenza conta su una fra le prime cinque associazioni industriali d’Italia. Al vertice Massimo Calearo, che vorrebbe ritoccare lo statuto di Unindustria per strappare il terzo mandato da presidente. Ma è pronto a sfidarlo Elio Marioni, cui non basta più il ruolo di presidente del Cuoa. Dopo Padova e Rovigo, si profila il rischio di una clamorosa spaccatura del «sindacato d’impresa» anche a Vicenza.
Vicenza è fatta così. Devozione mariana intensa quanto l’adorazione del baccalà (alla vicentina, appunto). Educazione e decoro cattolico, ma vocazione «protestante» per gli affari. Tradizione di famiglia, salvo tentazioni lontano dalle mura domestiche. Va bene il berlusconismo come eredità della vecchia Dc, quanto il lighismo veneto di Manuela Dal Lago. La sinistra qui è sempre rimasta all’angolo, sopportata con un’alzata di spalle. E la meglio gioventù vicentina preferisce la «ribellione» dietro il tricolore di An.
A Vicenza si pensa a produrre. Nel 2005, il fatturato parla di 42,2 miliardi di euro disseminati fra piccole e medie imprese di una provincia che s’incunea dalla pianura fino alle montagne. Tasso di disoccupazione inchiodato al 3,5%, grazie a 64.960 imprese (più le solite attività che sfuggono al controllo) che vantano oltre 374 mila addetti. Il rapporto sull’ultimo trimestre 2006 segnala il trionfo di meccanica e tessile (rispettivamente più 5,7 e più 4,6% nella produzione rispetto allo stesso periodo 2005). Ma anche la vitalità del distretto del mobile, la tenuta delle concerie intorno ad Arzignano e del settore della plastica. E gli orafi? Meno 13,6%, rispondono i dati ufficiali di Unindustria, con buona pace della vetrina in Fiera…
Vicenza prega di poter continuare così. Ai «bisognosi» continuerà a pensare la chiesa: con il ricovero notturno della Caritas in Contra’ Torretti, l’attenzione ai migranti, le attività di sostegno agli anziani soli, la cura delle forme di nuova povertà. I vicentini fanno rombare i Suv alla moda, iscrivono i figli alle scuole private, pagano la parcella nelle case di cura private dei Colli Berici.
Gli americani? Alla caserma Ederle, da mezzo secolo c’è una «città nella città» con seimila abitanti. Le truppe Usa sono un altro buon affare. C’è chi lavora e guadagna bene con la Nato, qualcuno che traffica con i militari, nessuno che si lamenta della convivenza. Le ragazze vicentine coltivano sempre il loro «sogno americano». I coetanei aggiornano il modello da imitare. Pub, discoteche, locali di mezza provincia campano in funzione dei soldati. Per loro, la legge italiana si ferma sulla soglia della base.
E’ successo nell’autunno 1989, con un orribile delitto che a Vicenza nessuno ha voglia di ricordare. Frutto dell’arroganza di chi si sente padrone dall’altra parte dell’Oceano. Johnny Boateng, 32 anni del Ghana, sbarcava il lunario fra gli acidi delle concerie e il letto offerto dal parroco di Montecchio. E’ stato vittima di una vera e propria mattanza davanti alla discoteca Palladium a Torri di Quartesolo, alle porte di Vicenza. Lo hanno ucciso a pugni, calci e bastonate, lasciandolo agonizzante nel parcheggio, tre soldati americani di colore: Alexander Lee Rogers, 21 anni di Detroit; Mark Alan Davis, 25 anni di Nowlak; Young Seasuasu Gafatasi, 26 anni dell’isola Samoa. All’epoca, le indagini avevano coinvolto anche il coach della squadra di football della «Ederle»: Richy Vuaghan Bynum, 29 anni, di Greensboro. Tutti rimpatriati, una volta che le indagini della polizia avevano chiuso il cerchio sull’omicidio. A Vicenza, si archiviano così tutti gli «incidenti» con i soldati americani.
E oggi a Vicenza dell’assassinio di Johnny Boateng si è persa la memoria. Il governo Prodi dà via libera all’ampliamento della base Usa, proprio come il Comune amministrato dalla Casa delle libertà. E’ carnevale in città, per chi non è volato a ritoccare l’abbronzatura sul Mar Rosso…