La corte dei conti ha presentato ieri il suo rimprovero annuale. Chi si aspettava che al centro della reprimenda ci fossero i buchi nella spesa pubblica è rimasto deluso. Senza assolvere il vecchio governo, la Corte che lo aveva già tartassato negli anni precedenti, quest’anno lo ha lasciato perdere e si è dedicata piuttosto alla spesa pubblica corrente e alle pensioni. Mentre la scelta del bersaglio ha lasciato del tutto indifferente il ministro Pierluigi Bersani, responsabile dello sviluppo economico e ha trovato in Tommaso Padoa Schioppa, il ministro dell’economia, un pallido sostenitore, ha invece sollevato molte rimostranze nei sindacati, poco propensi a vedere attacchi – in contemporanea – alle pensioni e al pubblico impiego.
In termini generali, la Corte è soprattutto preoccupata per lo scostamento «particolarmente ampio», tra obiettivi e risultati. La «colpa» è sempre la stessa degli ultimi anni: «un’espansione anomala» della spesa corrente. Troppo facile osservare che un fatto che si verifica tutti gli anni non è poi così anomalo. Fulvio Balsamo è il presidente di sezione della Corte che ha preparato e illustra il Rapporto. Egli porta una critica serrata alla situazione dei conti pubblici, a partire dall’aumento irrefrenabile del rapporto debito/pil, in presenza di un appiattimento del pil stesso nel corso degli anni. Dunque un doppio sforzo: crescita del pil e ricostituzione di un «ampio avanzo primario» per muovere il sistema economico verso una riduzione sostanziale dello stock del debito. Una difficile doppia azione, la Corte lo sa bene; ma non ha vere ricette da proporre, se non le indicazioni, molto generali, di spendere meno in pensioni e stipendi pubblici. E riassume così il suo invito a fare presto e bene: dovete «attivare più efficaci strumenti di contenimento delle spese correnti primarie» per essere in grado di spostare le risorse liberate «prioritariamente a migliorare i saldi».
Claudio De Rose, il procuratore generale presso la Corte dei conti, presenta per primo le cifre ufficiali che saranno ripetute e discusse fino a Natale: il rapporto deficit Pil è al 4,1% nel primo semestre, il debito sarebbe anch’esso in «pericoloso incremento», fino al 106, addirittura 108%. La sua attenzione si rivolge poi al nodo della sanità. C’è una cronica sottostima da parte di talune Regioni, nel calcolo dei costi. I comportamenti sono poi divaricati. Alcune Regioni hanno «risposto con interventi strutturali e con il reperimento di fondi certi e incontestabili per riequilibrare il proprio deficit di settore». Ma vi sono anche Regioni che non ci sono riuscite o hanno osato «contestare i criteri di valutazione di detto deficit da parte dello stato». Le Regioni cattive sono indicate una per una in ordine alfabetico – Abruzzo, Campania, Lazio, Liguria, Molise e Sicilia. E la Corte spiega che in tal modo si scaricano «ingiustamente» sui cittadini delle regioni che hanno sforato i limiti di spesa, un aumento delle addizionali Irpef e Irap.
Il presidente Francesco Staderini dedica parte del suo dire alle pensioni. Ritiene che lo «scalone» disegnato da Roberto Maroni, il ministro del lavoro del precedente governo, potrebbe essere «graduato nel tempo» cioè slittare rispetto al 2008 previsto, ma che i 60 anni indicati non bastano, e devono diventare 62-63. Le pensioni costano troppo. E qui parte un confronto internazionale che mostra che il peso pensionistico incide sul Pil italiano per il 13,8%, mentre nei paesi circonvicini è pari al 12,1% in Francia, all’11,8% in Germania, al 9,4% in Spagna e al 5,5% nel Regno unito. E’ possibile che un pensionato (o forse un mancato pensionato) del Regno unito sia dell’idea che in Italia è meglio.
Le risposte dei sindacati sono meno conformiste. Tra tutte è da notare quella di Carlo Podda, segretartio generale della Funzione pubblica Cgil, quando replica alla Corte così: «Più che preoccuparsi degl incrementi di spesa bisognerebbe sapere se l’incremento…. ha o meno determinato il miglioramento e/o l’ampliamento dei servizi ai cittadini. Quanto poi alla produttività, le organizzazioni sindacali sono sempre disponibili a confrontarsi, a cominciare magari dalla stessa produttività della Corte dei Conti, in particolare riguardo ai tempi e ai modi in cui ha esercitato il proprio ruolo di certificazione dei contratti nazionali, trasformando le procedure previste dalla legge in una sorta di gara tra Achille e la tartaruga».