«I comuni non fanno la carità»

«A distanza di diciotto giorni dal raggiungimento di una intesa con il governo non abbiamo ancora visto l’emendamento che dovrebbe racchiuderne il contenuto». Leonardo Domenici, presidente dell’Anci, al termine della XIII assemblea dei comuni italiani, conclusa ieri a Perugia, torna a parlare di finanziaria per evidenziare che «qualcosa nel confezionamento della manovra non è andato bene. Io mi sono un po’ stancato di negoziare su dei numeri. E’come fare la carità. Occorre invece che i comuni vengano considerati come la rete naturale e primaria per lo sviluppo del paese». Un giudizio, il suo, analogo a quello espresso dal sindaco di Roma Walter Veltroni: «Mancano poche ore e l’accordo formale raggiunto a palazzo Chigi deve trasformarsi in un testo scritto, che vogliamo conoscere prima della presentazione in parlamento. Noi comuni siamo la base della piramide sociale, quella che registra prima e più fortemente le reazioni e le scosse. Se cediamo noi, cade la piramide». Se la prende direttamente con Tommaso Padoa Schioppa il primo cittadino di Bologna Sergio Cofferati, secondo il quale «un ministro non può non rispondere, perché altrimenti delegittima l’interlocutore. C’è un ritardo che già di per sé è un segno non positivo».
Presidente Domenici, i comuni continuano a esprimere malessere per questa finanziaria. Cosa c’è che ancora non va?
In realtà il problema è uno solo e può essere grande o piccolo a seconda di come sarà tradotto in cifre, a distanza di diciotto giorni, l’intesa siglata a palazzo Chigi. Noi non abbiamo ancora visto il testo dell’emendamento che dovrebbe recepire l’accordo.
E’ solo il ritardo, dunque, a innervosire i comuni?
Il fatto è che questo governo non può non avere una visione complessiva degli enti locali come dei tasselli che compongono la rete naturale e primaria per lo sviluppo economico del paese. Avere la coscienza di questo significherebbe cominciare a intervenire significativamente sulle grandi aree urbane, sul degrado delle città, sui problemi della sicurezza, sulle misure sociali e sulle politiche relative alla casa. Invece solo pochi giorni fa in parlamento abbiamo assistito all’affondamento del decreto sugli sfratti…
In più avete lamentato un problema relativo alla mancanza di concertazione…
Sì. Io mi auguro che ciascuno di noi sappia imparare dai propri errori. Il confronto che c’è stato non è stato dei migliori. Io, come presidente dei comuni, mi sono un po’ stancato di negoziare sui soldi. Ho avuto l’impressione di fare la carità. Bisogna cominciare a confrontarsi profondamente sul ruolo che si intende affidare agli enti locali. Eppure con il Dpef mi sembrava che il governo avesse cominciato bene. Poi qualcosa, nella traduzione in legge finanziaria, si è perso.
Le doglianze dei comuni, al momento della sessione di bilancio, stanno diventando una tradizione italiana. Cosa è cambiato, dunque, rispetto alla precedente legislatura?
Per quanto riguarda il precedente governo credo che ci fosse una vera volontà politica alla base dei tagli. Le amministrazioni locali sono perlopiù di centro sinistra e questo orientava le scelte. Ora forse è stato fatto il ragionamento opposto. Mi sembra che sia mancata una lucidità. Mi sarei, cioè, aspettato una maggiore sensibilità rispetto alle nostre richieste…