I comandi sapevano

«La mia impressione è che il corpo dei marines stia gestendo la cosa molto bene», ha fatto sapere Donald Rumsfeld, il ministro della Difesa americano, da Singapore dove si trovava ieri, e come al solito le sue parole sono arrivate al momento sbagliato. Proprio mentre esse venivano diffuse, infatti, ecco il «New York Times» rivelare che il comando dei marines aveva appreso dopo appena due giorni che i 24 morti di Haditha erano rimasti vittime non – come era stato detto – di un’automobile fatta esplodere dai «terroristi», ma dalle raffiche sparate dai soldati americani. Quella informazione però non ha avuto alcun effetto o – secondo le parole usate dalla stessa fonte del giornale, un «alto ufficiale» non identificato – «non c’è stata la percezione dell’eccezionalità della cosa». Il che ha sollevato un dubbio inquietante sul motivo di quella mancata «percezione». Ci fu perché non era il caso di stare a guardare tanto per il sottile, ci fu perché anche il comando dei marines è partecipe della tendenza dell’amministrazione Bush a non guardare la realtà o ci fu, quella mancata percezione, perché avvenimenti come quello di Haditha in realtà non erano per niente «eccezionali»?
Il dibattito, come si dice, è in corso, ma ora tutte le cose venute fuori da quando il settimanale Time ha rivelato l’esistenza di quella «My Lai irachena», la paura che si è diffusa è che l’ipotesi della «normalità» sia la più praticabile. Dopo Haditha, infatti, è arrivata Ishaqi (l’uccisione di undici persone fra cui donne e bambini rivelata dalla Bbc e inizialmente spacciata per uno «scontro a fuoco» fra marines e «membri di Al Qaeda») e dopo Ishaqi è arrivata Hamadiya, dove secondo un altro rapporto un uomo e una donna incinta sono stati uccisi senza «nessuna ragione apparente». Ufficialmente, ci sono indagini in corso su tutti e tre gli episodi e i loro risultati si conosceranno «presto», come ha detto Rumsfeld. Ma intanto i rapporti «preliminari» già diffusi hanno fatto arrabbiare lo stesso Nuri al-Maliki, il premier iracheno che quando si era insediato aveva reso George Bush tanto felice da fargli dimenticare il particolare non proprio secondario che al-Maliki non era stato capace di nominare né il ministro degli Interni né quello della Difesa, cioè proprio i due che dovrebbero mettere mano ai problemi di «sicurezza». Secondo al-Maliki il rapporto americano preliminare secondo cui a Ishaqi non è successo nulla di anormale e i militari americani non hanno nulla da rimproverarsi «non è corretto», per cui il suo governo condurrà un’indagine in proprio. Naturalmente c’è la possibilità che al-Maliki cerchi di «distanziarsi» dai «liberatori» per non esacerbare ancora di più il sentimento anti-americano crescente, ma anche questo la dice lunga sul livello di degenerazione cui questa guerra è arrivata. Del resto anche l’aria che tira a Washington rispecchia questa degenerazione. Bush, alla diperata caccia di consensi, preferisce parlare di matrimoni gay piuttosto che dei «continui progressi» che si fanno in Iraq o della necessità di «mantenere la rotta» e manda il suo portavoce Tony Snow a dire che «così come è stato turbato dalle accuse ai marines provenienti da Haditha, credo che si possa dire che il presidente è turbato anche dalle notizie simili provenienti da altri luoghi». E se lo sfugge lui, il problema Iraq, figuriamoci i repubblicani terrorizzati dal voto di novembre che si avvicina. I democratici – che finalmente sembrano essersi svegliati – hanno preso a mandare avanti i loro candidati «vergini», cioè quelli che non hano approvato a suo tempo l’invasione, i quali sono praticamente scatenati sul fatto che «il 2006 deve essere l’anno in cui la nostra avventura in Iraq deve volgere al termine», come ha detto ieri Peter Welch, al quale è stata affidata la «replica» al messaggio radiofonico del sabato di Bush. Welch è del Vermont, la cui rappresentanza al Congresso fu l’unica a schierarsi apertamente contro la guerra. «Sull’Iraq è ora di ripristinare la responsabilità, la credibilità e la competenza», ha detto Welch. «Il nuovo Congresso dovrà imprimere al Paese tutta un’altra direzione».