I comandi militari dietro l’intervento della Casa Bianca

Prima e dopo la «disapprovazione» ufficiale per la condotta dell’ Italia in Afghanistan, è stata battaglia tra i falchi e le colombe al dipartimento di Stato. Cercando di attenuare la denuncia dei primi, un diplomatico ha precisato che il richiamo americano è scaturito dalle ultime notizie giunte da Kabul, innanzitutto sulla liberazione dei talebani in cambio del rilascio di Mastrogiacomo, e dalle pressioni dei comandi militari sul terreno. E ha aggiunto che non si tratta di Stati Uniti contro Italia, né di ingerenza politica negli affari italiani, ma di regole di condotta per tutti coloro che lottano contro il terrorismo. La linea Usa è nota: si può parlare col nemico, ma non fargli concessioni, una linea che i militari al fronte in particolare non vogliono venga violata. Implicitamente, un richiamo anche al governo afghano. Dopo le dichiarazioni di D’ Alema che la Rice aveva mostrato una certa «comprensione» per i negoziati su Mastrogiacomo, e dopo il positivo commento del portavoce Sean McCormack su una conferenza per la pace in Afghanistan, sia pure senza i talebani, la critica Usa si è comunque tradotta in un’ umiliazione del governo italiano. Il dipartimento di Stato ha aspettato che la riunione del Consiglio di sicurezza dell’ Onu finisse e che D’ Alema partisse per uscire allo scoperto ma, come hanno osservato più ambasciate a Washington, la protesta poteva essere inoltrata solo tramite canali diplomatici. Secondo il conservatore Richard Perle, è stata resa pubblica per due motivi. La Casa Bianca doveva dare prova di fermezza al proprio Paese, militari in testa; c’ erano, inoltre, pressioni dai vertici militari britannici e canadesi. In secondo luogo, doveva rivolgere un monito agli alleati. Anche a costo di danneggiare l’ immagine della Rice, come è avvenuto. L’ incidente diplomatico è attribuibile a un colpo di coda dei falchi. In ritirata nell’ amministrazione – il mese scorso lasciò il dipartimento di Stato il capo del disarmo Robert Joseph, contrario all’ apertura alla Corea del Nord – i falchi combattono una battaglia di retroguardia a volte vincente. Alla Casa Bianca il vicepresidente Cheney, il vicedirettore del Consiglio di sicurezza nazionale J.D. Crouch e lo stratega della democrazia globale Elliott Abrams intervengono spesso nella gestione della politica estera. Si ignora se si siano mossi di persona o se l’ iniziativa sia venuta dai loro uomini al dipartimento di Stato, come Eliot Cohen, consigliere della Rice, ma mentre D’ Alema parlava all’ Onu è nata la decisione di rettificare il tiro sul rilascio di Mastrogiacomo e la Conferenza di pace. Non si doveva lasciare briglia sciolta agli alleati. L’ Italia poteva essere un esempio. L’ amministrazione giustifica la stilettata con la necessità di non legittimare i talebani, un messaggio che sembra abbia trasmesso in via riservata a Karzai, ricordandogli che non potrebbe sopravvivere senza gli Usa. Ma l’ incidente non è il primo – basta pensare alla lettera dell’ ambasciata americana a Roma sull’ Afghanistan – e suscita un interrogativo: perché tante pressioni sull’ Italia? Il presidente Bush pare rimpiangere l’ appoggio acritico del governo Berlusconi e a un anno dalle elezioni di Prodi non ha ancora fissato la data di un incontro con lui.