I colpi bassi di un agit-prop del pensiero unico

L’emergere negli ultimi anni del movimento «alterglobal» ha costretto tutti a riflettere sulle forme e i modi in cui si stava attuando la cosiddetta globalizzazione neoliberista. L’unificazione dei mercati, all’insegna del liberismo più spinto, è diventata così argomento di innumerevoli analisi che ne hanno indagato gli aspetti economici, sociali e politici. Tra detrattori e difensori dei processi in corso, si sono avuti sinora numerosi interventi e la querelle, naturalmente, è ben lungi dall’essere conclusa. Un ulteriore tassello del dibattito in corso è rappresentato dal testo di Martin Wolf, intitolato Perché la globalizzazione funziona, recentemente pubblicato dal Mulino (pp. 468, euro 20).
L’autore è bene addentro ai meccanismi che hanno regolato e regolano i processi di unificazione del mercato mondiale, in quanto è stato senior economist presso la Banca Mondiale, lavorando alla divisione Commercio internazionale in Kenya, Zambia e India, e attualmente è associate editor del «Financial Times» ed alterna la sua attività di «editorialista» con l’insegnamento.
Come si evince anche dal titolo del testo, Wolf è uno strenuo sostenitore della globalizzazione e uno degli scopi del suo saggio è convincere dei suoi effetti positivi i cosiddetti no global, che, come afferma egli stesso, «sono paragonabili piuttosto a bambini viziati; nondimeno, sono i «nostri» bambini viziati e se non riusciremo a convincerli dei meriti di un sistema globale e liberale potrebbero cedere di fronte alle certezze degli oppositori della globalizzazione».
A partire da tale dichiarazione di principio, posta addirittura prima della definizione dell’argomento trattato, ci si aspetterebbe un testo strutturato in maniera tale da rispondere in maniera puntuale alle varie obiezioni mosse nei confronti della mondializzazione. Invece Wolf, dopo aver descritto il variegato universo dei «collettivisti del nuovo millennio», mettendo insieme no global, sindacati, ong, marxisti, terroristi, razzisti e quant’altro, elencando in modo sommario quelle che a suo parere sono le principali critiche, passa alla sezione del libro significativamente intitolata «Perché l’economia di mercato globale è vantaggiosa». Non solo, a questa sezione ne segue subito un’altra dal titolo «Perché la globalizzazione è ancora insufficiente». Insomma, l’autore, utilizzando un procedimento retorico ben noto, piuttosto che affrontare le obiezioni, parte subito magnificando i propri argomenti, in modo tale da farli apparire come dati oggettivi, punti fermi sui quali costruire poi i ragionamenti volti a smontare le tesi opposte.
Nel corso della trattazione di tutti i benefici che la globalizzazione ha comportato, comporta e comporterà per l’umanità tutta, l’autore viene preso da un entusiasmo davvero incontenibile che lo porta ad affermazioni quanto meno paradossali, come quando dichiara: «Il problema per le persone più povere non è essere sfruttate ma non essere sfruttate abbastanza». E, a proposito del concetto di sfruttamento, Wolf non perde il vizio di utilizzare una buona dose di ambiguità a livello semantico. «Sfruttare», infatti, può avere, come è noto, due diversi significati, uno positivo («sfruttare un’occasione») ed uno negativo («sfruttare una persona»). Ebbene, per lui, tale differenza semplicemente non esiste, per cui può candidamente affermare che «l’attività economica consiste in uno sfruttamento reciproco vantaggioso per entrambe le parti». Quindi, se da un lato è giusto dire che «le multinazionali sfruttano i lavoratori cinesi cercando di aumentare i loro profitti», d’altro canto sarebbe altrettanto vero che «i lavoratori cinesi sfruttano le multinazionali».
Vera e propria esaltazione dell’economia di mercato, del capitalismo e della mondializzazione neoliberista Perché la globalizzazione funziona si può rivelare un testo molto utile se lo si legge in una chiave inconsueta, ovvero come perfetta testimonianza del modo di pensare di un ex-socialista democratico riformista, folgorato sulla via di Damasco dalle teorie liberiste più estreme. Una sorta di memoriale del presidente Schreber, che mostri la psicologia di un convertito al libero mercato. Ipotesi non tanto peregrina, avvalorata da un fatto significativo, un piccolo ma importante segnale psicologico: la prefazione del libro non è altro che la storia della vita di Wolf raccontata da lui stesso.
Letto in questa chiave, il libro potrebbe rappresentare un aiuto prezioso per comprendere come la pensino in realtà e come funzionino i meccanismi logici e psicologici di tanti esponenti della cosiddetta sinistra italiana, europea e mondiale.