I tavoli di Canton ieri erano vuoti. Su ognuno il nome di un’azienda italiana, intorno un imprenditore cinese e il suo interprete a chiacchierare del più e del meno. Alla Fiera delle Piccole e Medie imprese di Canton, aperta due giorni fa da Romano Prodi in persona, era in programma la seconda sessione di incontri tra aziende italiane e cinesi, dopo quella a Nanchino di giovedì, organizzata dal tandem Confindustria- Istituto per il Commercio Estero. Gli imprenditori italiani, però, non c’erano.
Al quarto giorno della missione è tempo di bilanci. A parte i due accordi che porterà a casa il gruppo Fiat, le mani italiane sono vuote. Come i tavoli. «Ce n’erano 320 a Canton, erano numerati – racconta Michele Brunello, alla Fiera per conto di Nuova Sp, piccola impresa lombarda – e quasi la metà degli italiani non si sono neanche affacciati. E nel pomeriggio neppure le aziende cinesi, contrariate, sono più venute».
A Nanchino era andata diversamente, almeno in parte. Delle circa 200 aziende italiane registrate per gli incontri, solo poche avevano mancato l’appuntamento delle 9 del mattino. Poi, dopo pranzo, un’emorragia di presenti. «Ho sentito molti lamentarsi del pessimo matchmaking – continua Brunello – Se fai ferro e ti presentano legno, non si va molto avanti. A quel punto penso molti abbiano ritenuto, a torto, che di partecipare alla seconda tornata di incontri non ne valesse la pena».
Un buon matchmaking, vale a dire un accoppiamento calibrato tra le parti, è essenziale per concludere affari. A organizzare i primi incontri a Nanchino e assegnare la lista degli appuntamenti a ogni azienda italiana registrata è stato l’Ufficio Ice di Shanghai.
«Abbiamo finalizzato oltre 1500 incontri, certo qualcuno è saltato». Maurizio Forte è il responsabile dell’Ufficio Ice di Shanghai da sei anni. «Lei sa che cosa vuole dire gestire 900 aziende cinesi, 200 italiane, attive in 60-70 settori diversi e con almeno venti possibili obiettivi per ogni incontro? La statistica è dalla nostra parte». Il problema è semmai un altro, dice Forte. «Sono anni che diciamo di fare sistema e dei passi in avanti in questa occasione ci sono stati. L’importante, comunque, resta venire in Cina a seminare i futuri contratti».
Le difficoltà strutturali dell’Italia produttiva le aveva sottolineate lo stesso Romano Prodi alla vigilia del suo viaggio. C’è una problema di facce: le missioni imprenditoriali in Cina sono frequenti, ma guidate da ogni specie di ente locale (dalle associazioni di categoria alle Regioni). L’ultima delegazione politico-imprenditoriale di alto livello, nel 2003, era stata capitanata da Carlo Azeglio Ciampi. E c’è un problema di muscoli: l’Italia produttiva è pur sempre fatta di imprese medie, piccole o piccolissime. Ecco perché Francia e Germania vengono qui a strappare commesse miliardarie e noi a sperare che la prossima volta vada meglio. «Le aziende tedesche sono delle corazzate, concludono i contratti prima e, poi, vengono qua a celebrare le firme – puntualizza il direttore dell’Ice – Nel nostro caso potrebbero farlo al massimo poche aziende. Il grosso delle piccole e medie imprese può solo permettersi di accodarsi a un viaggio istituzionale, confidando che sia un punto di partenza.
Se si è italiani, perciò, c’è da attendere. E se magari sono rose, fioriranno. Scorrendo la lista ufficiale delle 290 aziende italiane accreditate, si vedono però pochi semi. Molte sono associazioni di categoria e società di consulenza, il cui ruolo è fondamentale per favorire gli investimenti, ma che non mettono direttamente mano al portafoglio. Altre sono troppo piccole per il mercato cinese. «Chi oggi fa i soldi in Cina è perché ha capito il suo sviluppo almeno venti anni fa», commenta Enrico Ricotta, consigliere della Acc di Pordenone, tra i leader mondiali dei componenti per elettrodomestici. Fatturato solo in Cina: settanta milioni di euro. Loro non hanno avuto bisogno degli incontri di Nanchino e Canton. E per fare gli affari devono attendere solo un giorno. Domani a Tianjin, dove è già arrivata la delegazione Prodi, verrà posata la prima pietra di un nuovo stabilimento da 1700 operai.