I centri di detenzione in Italia

“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”: così recita l’articolo 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Il rispetto di questo articolo, che è tra l’altro il punto di partenza della Convenzione Europea per la prevenzione della tortura, è garantito dal sistema di visite effettuate dal CPT (Comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti). Le visite delle delegazioni del CPT – composte da membri esperti ed imparziali provenienti da vari ambiti disciplinari – vengono effettuate nei luoghi di detenzione come carceri, centri di detenzione per minori, commissariati di polizia, ospedali psichiatrici, centri di permanenza temporanea e assistenza per stranieri per valutare il livello di trattamento degli individui in stato di fermo, ed eventualmente suggerire agli Stati miglioramenti delle situazioni di detenzione. Nel corso delle visite, che possono essere periodiche ma anche organizzate “ad hoc”, i rappresentanti del CPT hanno il diritto di spostarsi all’interno dei luoghi di detenzione senza restrizioni, intrattenendosi con i detenuti, anche senza la presenza di testimoni.

E sotto l’attento esame del Comitato è finita più volte anche l’Italia. L’ultima visita, svolta tra il 21 novembre e il 3 dicembre 2004, ha portato i membri della delegazione europea in molti dei nostri Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza per stranieri (Caltanissetta, Lampedusa, Agrigento e Trapani), in alcuni comandi di polizia (Roma-Termini e Civitavecchia), nelle Questure di Roma e di Verona, nelle carceri di Parma e Verona e all’ospedale “San Giovanni di Dio” di Agrigento.

Alla stazione Termini di Roma, lungo il binario 13, la delegazione del CPT ha trovato un box di poco più di 2 metri quadrati, utilizzato come sala d’attesa per i fermati. Proprio il comando della polizia di Roma Termini è stato teatro di uno dei due “incidenti” menzionati espressamente nel Rapporto del CPT. Nel clima di buona collaborazione riscontrato dal CPT, infatti, sia a livello locale sia nazionale, il personale in servizio a Roma-Termini si è invece particolarmente “distinto” per essersi rifiutato di fornire il proprio nome e codice identificativo, nonché per aver fatto attendere la delegazione del CPT per quasi un’ora, nascondendo la presenza di due detenuti. E a Civitavecchia le cose non sono andate meglio.

In generale, le accuse mosse dai fermati (maltrattamenti e insulti di carattere razzista e xenofobo) e i rimpatri forzati degli stranieri sbarcati a Lampedusa, di cui si legge a più riprese nel Rapporto, non fanno altro che incupire l’immagine democratica del nostro Paese. Un Paese che, secondo il Comitato, non dovrebbe assolutamente permettere il rimpatrio di persone laddove ci sia motivo serio di credere che possano correre reale pericolo di essere sottoposte a tortura, a pene o trattamenti inumani o degradanti.

Vale la pena di ricordare l’episodio del rimpatrio forzato verso la Libia a bordo della nave tedesca “Lydia Oldendorff”, avvenuto il 9 ottobre 2004. Circostanza rispetto alla quale il Rapporto parla chiaramente di incidenti dovuti all’uso della violenza da parte dei membri delle forze dell’ordine; incidenti che però il governo italiano nella sua risposta sminuisce del tutto. Nessuna meraviglia, quindi, che lo stesso governo abbia impiegato un anno per concedere l’autorizzazione alla pubblicazione del Rapporto.

Dall’ultimo Rapporto, inoltre, emerge a più riprese anche l’inadeguatezza delle strutture igienico-sanitarie e del sistema di riscaldamento (addirittura in molti casi mancano anche le coperte), oltre alla palese necessità di rafforzare la presenza di personale medico. Innegabili sono le preoccupazioni del Comitato nei confronti del sovraffollamento delle carceri (nel frattempo ridimensionato dal provvedimento di indulto adottato dall’attuale governo n.d.r.) e delle condizioni di detenzione previste dal “regime del 41 bis”. Su questo fronte il Rapporto mira ad un miglioramento dei presidi sanitari, degli spazi ricreativi e delle modalità delle visite (almeno due al mese della durata di un’ora ), ma anche ad entrare un po’ di più nella quotidianità del singolo individuo, ad esempio facilitando l’accesso al telefono.

Rispetto ai Centri di Permanenza Temporanea, infine, il Comitato dichiara di non aver ricevuto alcuna palese denuncia di maltrattamenti da parte delle forze dell’ordine, ma è l’organizzazione complessiva dei luoghi a suscitare il vero allarme. L’assenza di un registro con i dati dei reclusi e il fatto che, al momento della visita, un terzo delle docce del Centro di Lampedusa fossero fuori uso, sono solo due esempi delle carenze riscontrate. Inoltre, molti dei reclusi non sono mai stati adeguatamente informati dei loro diritti nella loro lingua, non essendoci interpreti e mediatori linguistici in numero sufficiente. Quanto alle specifiche realtà visitate, i risultati del Rapporto non sono certo confortanti.

In questo quadro va sottolineare un dato positivo: grazie all’intervento e al Rapporto del Comitato che ne denunciava le condizioni di degrado totale, il CPT di Agrigento ha visto una rapida chiusura.