I Buffalo Soldiers di Spike Lee

«Noi black people, noi africano-americani sappiamo cosa vuol dire essere dalla parte di chi non è ascoltato, di chi non ha voce per urlare le proprie ragioni. Forse per questo la storia di Sant’Anna di Stazzema agli italiani la racconteremo noi».
A parlare è James McBride, giornalista e scrittore americano che quattro anni fa pubblicò “Miracle at St. Anna”, (per la Penguin in Usa, per Rizzoli in Italia con il titolo “Miracolo a Sant’Anna”) romanzo ispirato alla vita di uno zio che aveva combattuto in Italia durante la Seconda guerra mondiale. Un racconto romanzato, appunto, sul contributo assai poco investigato dalla letteratura e dal cinema americani che i “black soldiers” diedero alla risoluzione del secondo conflitto mondiale. E un incontro tra ultimi: le donne, i vecchi e i ragazzini italiani rimasti nei paesini della Toscana sotto la minaccia della Panzer Division guidata dall’SS Walter Reder (la storia inizia nel settembre del 1944) da una parte e i soldati di colore disprezzati in patria dall’altra.
Una storia perfetta per Spike Lee che da vent’anni era in cerca di una sceneggiatura adatta al suo cinema da girare in Italia. «Sono nato e cresciuto a Brooklyn in mezzo agli italo-americani» racconta il regista, in questi giorni a Roma per presentare il progetto e definirne i tempi assieme alla “On My Own” di Roberto Ciccutto e Luigi Musini, partner al 50 per cento con Spike Lee nella realizzazione di Miracolo a Sant’Anna . «In estate tutti gli amici con cui giocavo per strada tornavano dai parenti in Italia. Da allora – continua Lee – questo paese è entrato nella mia vita e sin dal 1987, anno del mio primo film She’s Gotta Have It (“Lola Darling”), sono venuto qui con regolarità. Ogni volta giornalisti e amici chiedevano quando mi sarei fermato per girare un film in Italia. Ora ho trovato la storia giusta per farlo e anche due amici come Ciccutto e Musini, distributori di tanti miei film qui in Italia con la Mikado, pronti ad affiancarmi in questa scommessa».
Il titolo del romanzo di McBride, per ora titolo provvisorio anche del film di Lee, fa chiaro riferimento a Sant’Anna di Stazzema, piccolo villaggio tra Lucca e Carrara che il 12 agosto del ’44 fu teatro di una rappresaglia tedesca che provocò in poche ore la morte di 560 persone, quasi tutte donne, vecchi e bambini. Un crimine contro l’umanità che ci ha messo sessanta anni per essere condannato dalla storia e per trovare una giustizia, pur parziale, nell’aula di un tribunale. E’ del giugno 2005, infatti, la condanna definitiva all’ergastolo di dieci ex ufficiali e sottufficiali tedeschi reputati responsabili diretti dell’eccidio.
Di questa storia, di questa tragedia italiana che per anni è stata vittima del silenzio e di una colpevole dimenticanza, Spike Lee certamente darà testimonianza. Ma a modo suo. Al centro del film sarà infatti, principalmente, la vicenda di quattro soldati africano-americani, quattro amici appartenenti alla 92ma divisione dei “Buffalo Soldiers” – tutta composta da militari di colore – rimasti bloccati in un paesino toscano oltre le linee nemiche, separati dal resto dell’esercito americano. Uno di loro ha salvato la vita di un ragazzino italiano, mettendo a rischio la propria. Asserragliati sulle montagne toscane con i tedeschi da un lato e gli americani incapaci di gestire la situazione dall’altro, i quattro amici scopriranno la loro umanità tra gli abitanti del paese, umile gente di un’umile Italia, nella solidarietà con un gruppo di partigiani e grazie all’affetto di un ragazzino italiano, il cui coraggio e la cui innocenza fanno da specchio a quelli dell’intera comunità.
Una storia edificante, a giudicare dalle poche indicazioni che forniscono regista e pressbook, una di quelle che a Spike Lee – tornato a fare da testimone critico del suo paese con l’ultimo notevole documentario sull’uragano Katrina “When the Leeves Broke” – piacciono parecchio. Un solido racconto di soldati neri calpestati nei diritti che testimoniano del proprio contributo alla patria e alla democrazia; questa ci sembra, più o meno, l’intenzione centrale di Lee. «La storia, per noi americani, è quella che ci racconta Hollywood. E per Hollywood i soldati di colore nella Seconda guerra mondiale non esistono – si infervora, spiegando, il regista -. Siamo in tutti i film sul Vietnam, ma per quanto riguarda il nostro contributo alla liberazione del mondo dal nazifascismo non esiste quasi un fotogramma. Con questo film voglio mettere fine al paradosso storico per cui la black people che è venuta a combattere a vent’anni per la democrazia e la patria in Europa è stata più amata e celebrata qui da voi che in America, dove al ritrono dal fronte tornava ad essere trattata da cittadinanza di serie b».
E’ il caso di William Perry, veterano della Buffalo, qui a Roma al fianco di Spike Lee assieme ad altri preziosi testimoni di quei fatti come Moreno Costa, partigiano del gruppo Vandelloni ed Enrico Pieri, che nel ’44 viveva a Sant’Anna e che fu l’unico della sua famiglia a restare vivo. Sono sue le parole più vivide su quei giorni: «Quel 12 agosto era mattina presto quando dei paesani ci vennero ad avvertire che i tedeschi stavano scendendo dalle montagne. Quando arrivarono ci portarono me e la mia famiglia prima in piazza, poi ci chiusero nella cucina dei Pierotti. Eravamo due famiglie numerose, iniziarono subito a spararci addosso. Tra i colpi sentii una vocina che mi chiamava. Era una delle figlie dei Pierotti che si era nascosta nel sottoscala. Fu lei a salvarmi. Di Sant’Anna, da allora, non avrei mai più voluto parlare. Troppo dura, la mia vita, troppo difficile. Trentadue annni di emigrazione, senza famiglia, senza nessuno. E ora voglio solo dirvi una cosa: negli anni Sessanta i neri d’Europa eravamo noi italiani. Abbiamo fatto una vita d’inferno, e c’è ancora chi la fa. Forse è giusto non dimenticarcelo».
Le riprese di Miracolo a Sant’Anna inizieranno, indicativamente, entro l’inizio del 2008. Location in gran parte toscane (con notevole sostegno della Regione e della Film commission della Toscana), interni ricostruiti a Cinecittà, troupe in buona parte italiana, costo complessivo attorno ai 45 milioni di dollari. Nessuna notizia sul cast, per ora.
E concludiamo con il “miracolo”, termine che così ci viene spiegato da James McBride che in Italia ha passato diversi mesi per documentarsi, durante la scrittura del libro: «Ci sono voluti sessanta anni per raccontare e dare giustizia a quegli eventi. Però per me quella di Miracolo a Sant’Anna non è una storia esclusivamente italiana. Ma di tutta quella gente umile – italiani, americani, tedeschi, russi, africani, non importa – a cui non è mai stata data l’opportunità di raccontare la propria versione della storia. Il miracolo allora è questo. E’ essere oggi qui, insieme, per restituire loro la voce».