La questione della gestione della rete autostradale da parte della società Autostrade è finalmente arrivata in tribunale. A sorprendere non è tanto il luogo dove si deciderà il futuro della concessione affidata ai Benetton (e di conseguenza la sorte della fusione con Abertis), ma piuttosto il tempo che ci ha messo per arrivarci.
Con un ritardo degno di un marito tradito, l’Anas ha improvvisamente scoperto che la condotta di autostrade non è proprio fedele a quella prevista dalla convenzione di concessione, e così alla fine di un consiglio di amministrazione straordinario, convocato il giorno dell’Immacolata, ha deciso di affidare il caso alla magistratura. Un’azione intesa ad «accertare se la mancata esecuzione, da parte della concessionaria autostradale, di investimenti previsti dalla convenzione e riguardanti opere per un valore di circa 2 miliardi di euro – si legge in una nota dell’Anas – costituisca inadempimento e, nel caso, ad ottenere l’ordine di esecuzione di tali investimenti e/o il risarcimento dei danni conseguenti».
La convenzione di concessione è un vero proprio contratto in base al quale il ministero delle infrastrutture e l’Anas hanno affidato la gestione di un monopolio naturale ad un privato. Il contratto prevede, tra le altre cose, l’obbligo per il concessorio (Autostrade) di legare gli aumenti tariffari agli investimenti realizzati per il miglioramento e la manutenzione della rete stradale. Ma su questo versante i conti non tornano: la società presieduta da Gros Pietro avrebbe attuato aumenti del costo dei pedaggi senza realizzare i lavori previsti dalla convenzione o, almeno, accumulando forti ritardi.
Al centro della controversia i mancati investimenti effettuati da Autostrade che, tra 2001 e 2006, avrebbe effettuato lavori per soli 3 miliardi di euro rispetto ai 6,5 previsti. Il ministro per le infrastrutture, Di Pietro sintetizza così: «Se incassi i pedaggi e non fai tutti gli investimenti ai quali ti eri impegnato, ti metti in tasca denari che, per la parte non adempiuta della convenzione, non ti spettano…». Ricordando come nello stesso periodo Autostrade abbia pagato 2 miliardi di euro di dividendi e si appresti a pagarne altri 2,1 nella prospettiva di fusione con la spagnola Abertis.
Il coinvolgimento della magistratura però non preoccupa Autostrade, che anzi ha ben gradito «l’invito» di presentarsi di fronte ai giudici. «A me fa piacere andare davanti al tribunale – ha dichiarato Gros Pietro in una intervista a Radio 1 – Il ministro vuole aprire un colloquio: un tribunale civile sia il luogo più adatto per accertare i fatti»
La tranquillità di Gros Pietro deriverebbe dal fatto «che parte dei ritardi nelle opere sarebbero da attribuire a ritardi nell’acquisizione di permessi di cui l’Anas era a conoscenza» (e l’altra parte?).
Ma anche ammettendo che la burocrazia c’entri qualcosa, è facile constatare che gli aumenti tariffari sono invece scattati con una puntualità svizzera a fronte di un servizio di cui, permessi o non permessi, gli utenti non hanno usufruito.
Per quanto riguarda la fusione con Abertis, chi ancora voleese scommettesse sulla riuscita dell’operazione commetterebbe un azzardo. Se venissero provate le violazioni degli obblighi previsti dalla concessione, il ministro Di Pietro avrebbe il potere di ritirare la concessione ad Autostrade (potere che aveva anche il predecessore, Pietro «tunnel» Lunardi, ma che non ha mai deciso di utilizzare nei 5 anni di governo Berlusconi) a quel punto Abertis saluterebbe gli amici italiani e penserebbe ad altri progetti.
Agli spagnoli però va riconosciuto il merito di aver sollevato un bel polverone, grazie alla loro offerta di acquisto. Se non fosse stato per loro il gruppo di proprietà dai Benetton probabilmente avrebbe continuato a fare il bello e cattivo tempo, senza che si scomodassero i tribunali.