I 4 anni celebrati con un’impiccagione

La vendetta del nuovo regime «democratico» iracheno ha voluto celebrare i quattro anni dall’inizio della «guerra di liberazione» lanciata da Bush nella notte fra il 19 e il 20 marzo del 2003, aggiungendo un altro po’ di sangue e un altro morto al fiume di sangue e alle caterve di morti quotidiani. Ieri mattina all’alba, in una base militare a nord di Baghdad, è stato impiccato Taha Yassin Ramadan, che fu vicepresidente dell’Iraq di Saddam.
Ramadan era stato condannato all’ergastolo per crimini contro l’umanità da un tribunale iracheno nello stesso processo-farsa che aveva decretato la condanna capitale per il Rais e altri due degli uomini a lui più vicini, Barzan Ibrahim al-Tikriti, il fratellastro di Saddam capo dell’intelligence, e Awad Ahmed Bandar, il capo dei tribunali rivoluzionari. All’accusa l’ergastolo era sembrato troppo poco e aveva fatto ricorso. In appello era arrivata puntuale la condanna a morte.
Ieri mattina Ramadan, che era ormai vicino alla settantina, è stato consegnato dagli americani agli iracheni che l’hanno impiccato. La sua esecuzione sembra non abbia avuto gli aspetti macabri e disgustosi dell’impiccagione di Saddam all’alba del 30 dicembre – insultato e deriso dai suoi carnefici – e di quelle, il 15 gennaio, di Bandar e Tikriti – che fu di fatto decapitato -, ma la sostanza della vendetta non cambia. Come ha detto a Strasburgo Terry Davis, segretario generale del Consiglio d’Europa – condannando l’esecuzione di Ramadan e invitando di nuovo il governo iracheno a finirla con la pena di morte – «le esecuzioni in Iraq non sono più caratterizzate da aspetti grossolani ma sono sempre disumane». Suo figlio Ahmad, intervista da al-Jazeera a Sanaa, nello Yemen, ha parlato di «un assassinio politico».
Ramadan, che era stato catturato dai peshmerga kurdi dopo l’invasione Usa e poi consegnato agli americani, secondo i testimoni, è morto dignitosamente. «Era calmo e composto. Ha chiesto alla sua famiglia e ai suoi amici di pregare per lui e ha detto di non avere paura della morte», ha riferito un suo avvocato che era presente. Una sua sorella, Khadija, sempre dallo Yemen, ha detto che «nonostante la tristezza, siamo orgogliosi perché non a tutti è concesso di diventare un martire». E come un «martire» hanno accolto il feretro, avvolto da una bandiera irachena, le centinaia di persone che ieri pomeriggio hanno partecipato al funerale. Ramadan, che era stato condannato per il massacro di 148 sciiti nella città di Dujail ordinato da Saddam negli anni ’80 come rappresaglia a un tentativo di assassinarlo, è stato sepolto a Awja, il villaggio natale di Saddam nel nord dell’Iraq, in una tomba vicina a quelle dei due figli del Rais e dei due altri esponenti saddamisti impiccati, di fronte a quella dello stesso Saddam. Ora si vedrà a chi toccherà. Chi rischia è Tarek Aziz, l’ex ministro degli esteri, anche lui accusato di crimini contro l’umanità.
A proposito di crimini contro l’umanità. Mano a mano che la guerra irachena, ufficialmente proclamata «vinta» e «finita» da Bush poco più di un mese dopo il suo inizio, sprofonda sempre più nei gironi infernali dell’orrore, crescono le voci che chiedono un giudizio – penale e non solo politico – contro coloro che la vollero a ogni costo, con il pretesto della lotta al terrorismo e delle armi di distruzione di massa. Gente con nome e cognome: l’americano Bush, l’inglese Blair e lo spagnolo Aznar, il «trio delle Azzorre». Ieri il giudice spagnolo Baltasar Garzon ha pubblicato un articolo nella pagina di opinioni di El Pais in cui parla, nel nome dei 650 mila morti (un centinaio anche ieri, compresi due marines Usa), della necessità di «valutare le responsabilità penali di quelli che sono stati i responsabili della guerra in Iraq»,definita «uno degli episodi più sordidi e ingiustificabili della storia recente dell’umanità». Il giorno prima il procuratore generale della Corte penale internazionale, l’argentino Luis Moreno Ocampo, non ha chiuso la porta alla possibilità che la Cpi investighi in futuro sui crimini di guerra commessi in Iraq. Ipotesi remote e improbabili. Ma anche l’arresto di Pinochet, ordinato da Garzon nel ’98 a Londra, sembrava impossibile…