I 100 giorni di Obama

Non abbiamo mai nutrito dubbi sulla reale natura del “fenomeno Obama”. Non ci siamo mai avventurati nel mare di illusioni che la formidabile campagna di promozione del “fenomeno” ha suscitato e ancora suscita in settori del campo democratico. Abbiamo messo in guardia fin dal primo momento sulla sofisticata operazione di promozione dell’imperialismo nordamericano insita in tale fenomeno: la clamorosa sconfitta della gestione fascistizzante di G. Bush esige la ricomposizione dell’immagine degli USA e la ricerca di altri metodi per tentare di imporre la propria egemonia mondiale. Dopo 100 giorni di governo Obama possiamo affermare che l’esperienza ci ha dato ragione.

Sebbene non sia ancora il momento per dare giudizi definitivi in relazione a numerose questioni, tanto nel campo della politica interna come in quello della politica estera degli USA, tre cose sono già ora evidenti:

-le misure di “lotta alla crisi” adottate dalla nuova amministrazione nordamericana si collocano in una linea di continuità con la precedente amministrazione e servono allo stesso modo il capitale finanziario e il complesso militare industriale;

-il “modello di vita americano” continua a basarsi sull’egemonia del dollaro nel sistema monetario internazionale, senza che il gigantesco debito esterno degli USA abbia condotto al suo collasso;

-con Obama la corsa agli armamenti e l’interventismo aggressivo non hanno subito un arresto, ma sono addirittura proseguiti in alcuni ambiti. Questa è l’inquietante realtà che nessuna simpatica immagine di “apertura” riesce a nascondere.

La profonda crisi del capitalismo sta acutizzando le contraddizioni e la lotta di classe. E’ certo che, nonostante l’importante processo di ricomposizione in corso, i rapporti di forza continuano a mantenersi favorevole all’imperialismo, e che, sia nel movimento comunista e rivoluzionario che nel campo antimperialista, il tratto predominante continua ad essere la resistenza e l’accumulazione di forze. Ma non è altrettanto vero che la dimensione della crisi e lo sviluppo della lotta possono condurre a importanti vittorie parziali e a sviluppi rivoluzionari.

Nelle commemorazioni del 1° Maggio si sono avvertiti incoraggianti segnali di combattività e avanzata, che si aggiungono alle vittorie progressiste in America Latina e in altre parti del mondo. Così è stato recentemente in Sudafrica dove l’ANC, con il contributo di avanguardia della classe operaia e dei comunisti, ha ottenuto uno straordinario successo elettorale, tanto più significativo in quanto realizzato in presenza di serie operazioni tendenti a indebolire e dividere questa grande forza rivoluzionaria e di liberazione del popolo sudafricano.

E’ per questo che, pur manovrando per migliorare l’immagine degli USA, l’amministrazione Obama continua ad ampliare la sua macchina da guerra, a seminare basi militari, a destabilizzare paesi e regioni intere per introdurvi truppe e proteggere governi fantocio, a rafforzare la NATO e a perfezionare strategie di “proiezione delle forze” in tutto il pianeta, ad appoggiare il rafforzamento della componente militare dell’UE, a insistere sulla “minaccia” di “Al Qaeda” e sulla “guerra al terrorismo” come copertura dell’aggressione a paesi sovrani.

L’inganno dell’ “uscita dall’Iraq”, l’allargamento della guerra al Pakistan in Asia Centrale, il concentramento di poderose squadre navali nell’area del Golfo Persico e del Mar Rosso, la silenziosa invasione della Somalia da parte dell’Etiopia e delle forze USA, i nuovi sviluppi della politica aggressiva in direzione dell’Africa, sono fatti che non lasciano molti dubbi sul corso che l’imperialismo in generale e quello nordamericano in particolare intendono perseguire: per far pagare ai lavoratori e ai popoli i costi della crisi capitalista, per tentare di salvare un sistema storicamente condannato e soffocare inevitabili esplosioni di rivolta sociale e trasformazione rivoluzionaria.

I “gesti di apertura” tattici di Obama non devono distrarci dall’essenziale: qualsiasi effettivo mutamento nella politica dell’imperialismo può essere ottenuto con la resistenza e la lotta dei lavoratori e dei popoli.

In: Avante (settimanale del PCP), 7 maggio 2009

Albano Nunes è membro della segreteria del Partito comunista portoghese.

Traduzione a cura della redazione de l’Ernesto.

L’articolo uscirà sul n.1-2, 2009 della rivista, in uscita nei prossimi giorni.