«Recuperrare i voti del Fronte nazionale è male?» si è chiesto, falsamente ingenuo, il candidato dell’Ump. Dopo aver iniziato la campagna cercando di sottrarre voti a sinistra nelle classi popolari – ha citato immense volte il socialista Jean Jaurès – Nicolas Sarkozy alla fine ha svoltato chiaramente a destra. Lui, che non ha osato mettere i piedi in banlieue per paura delle immagini in tv di una forte contestazione, se l’è presa con i musulmani che «sgozzano gli agnelli nella vasca da bagno». Ha fatto una campagna a zig zag: un riferimento a sinistra, due a destra e all’estrema destra. Ha cominciato quasi inginocchiandosi di fronte a George Bush, per mostrare la distanza che lo separa da Jacques Chirac, per poi esaltarne «il coraggio» per non aver seguito gli Usa nella guerra in Iraq; ma ha finito per sposare le tesi dei neo-con sul destino genetico dei pedofili e dei giovani suicidi. Per lui, il modello sociale deve restare la «famiglia eterosessuale», ha una visione quasi biologica della società, dove ci sono i «deliquentelli» e la brava gente. Si è fatto difensore del liberismo economico – «lavorare di più per guadagnare di più» – per poi propugnare l’intervento pubblico nelle grandi imprese in crisi, come Airbus. Ma ha un programma alla Reagan sui diritti del lavoro: un «contratto unico» per tutti, con diritti che si acquisiscono poco per volta, a seconda dell’anzianità. Ai sindacati del settore pubblico minaccia l’imposizione di un «servizio minimo» in caso di sciopero.
I sondaggi, fin dall’inizio, lo danno in testa al primo turno. Ma Sarkozy fa paura ai francesi. Per i suoi tratti di carattere, a volte violento, che non riesce a nascondere la voglia di potere. Tutti prevedono che, in caso di vittoria, la protesta sociale sarà vivace. I suoi manifesti, nelle strade di Francia, sono i più aggrediti: strappati, deturpati con segni che lo trasformano in piccolo Hitler.
Ma Sarkozy ha già ottenuto un risultato: ha liberato la destra dai complessi. «Ho voluto restituire alla destra repubblicana la sua fierezza, ho voluto che cessi di vergognarsi di essere la destra». Chirac, rappresentante di quella che Sarkozy ritiene una «destra molle», un gollismo sociale che secondo lui ha troppo flirtato con le posizioni della sinistra, lo sostiene appena. Sarkozy vuole una destra dura che sappia mostare il suo vero volto. Non più «il ’68», con le sue idee egualitarie e libertarie, che sono state finora dominanti nella società francese, ma un ritorno alle vecchie certezze, i ricchi e i poveri, «quelli che si alzano presto al mattino per andare a lavorare» e i fannulloni che vivono alle spalle del welfare. Ai francesi in crisi di identità propone un ministero dell’ «immigrazione e dell’identità nazionale», per dire chi è dentro è dentro, chi è fuori (i clandestini) sarà messo fuori con la forza. Vuole scegliere i «buoni» stranieri, quelli che fanno comodo a un’economia senza lacci e lacciuoli, escludendone i «cattivi», a cominciare dalle famiglie dei lavoratori immigrati.
Attorno a lui si sono coagulati nuovi lupi e vecchi leoni in crisi. Tiene il partito, l’Ump di cui è segretario, con mano di ferro. Ha eliminato uno a uno i suoi potenziali rivali per essere il candidato. Nei momenti di relax si lascia andare: «sono cambiato» assicura, per rassicurare. Ha 52 anni, fa parte di una generazione che non disdegna di parlare di sé, sottolinea che ha «sofferto» e che si è costruito un carattere su queste sofferenze, si è inventato un romanzo su un’infanzia non facile, ha spiattellato sulla piazza pubblica il dolore per il tradimento della moglie.