«Hanno vinto i pacifisti»

Sono state salvate due vite umane, e almeno in questo caso il valore della vita ha vinto contro la morte». Per questo Fausto Bertinotti definisce la liberazione di Simona Pari e Simona Torretta «un granello di sabbia nell’ingranaggio della barbarie della guerra e del terrorismo». Ma affinché questo granello non rimanga isolato, aggiunge il segretario di Rifondazione comunista, «si impone subito il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq», perché «tutte le vite umane hanno lo stesso valore» e «ora il problema è fermare la guerra».

Da più parti si sostiene che la liberazione è avvenuta soprattutto grazie all’unità mostrata dal Paese in questa vicenda. Onorevole Bertinotti, condivide?

«La liberazione delle due Simone è sicuramente un fatto in controtendenza di fronte a questa guerra sciagurata. Noi forze dell’opposizione abbiamo concorso a renderlo possibile evitando di dare luogo a una sorta di unità nazionale che avrebbe corrotto il nostro messaggio politico».

Perché corrotto?

«Perché avrebbe dato all’intera vicenda un tono politicista, avrebbe messo al centro della questione le ragioni degli schieramenti politici piuttosto che l’obiettivo di salvare delle vite umane».

Però, all’indomani dell’incontro a Palazzo Chigi tra governo e opposizioni si è parlato proprio di unità nazionale.

«A torto. Noi abbiamo ribadito che il nostro dissenso dal governo sulla guerra e sulla presenza delle truppe italiane in Iraq è radicale. Al termine di quell’incontro abbiamo scritto un comunicato delle opposizioni che esprimeva apertamente questo dissenso. Quel gesto impediva una lettura politicista».

Lettura che però c’è stata. Lei stesso è stato oggetto di critiche da parte di esponenti dei movimenti e anche di suoi compagni di partito. Erano infondate?

«Rifondazione comunista ha sempre sostenuto il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq. In queste tre settimane, tuttavia, lo abbiamo fatto tenendo distinto questo piano, che abbiamo continuato a far vivere, da quello dell’iniziativa diretta sul governo».

In cosa ha consistito questa “iniziativa diretta” sul governo?

«Ci siamo proposti di concorrere a determinare quella condizione ambientale necessaria per effettuare la trattativa: dialogo con i paesi arabi e valorizzazione degli apporti delle diverse componenti islamiche. E questo anche mettendo fine a pratiche che avevano precedentemente visto il governo e il presidente del Senato esprimere posizioni che parlavano di una superiorità di civiltà. È per questa via, che tiene conto dell’apporto che le civiltà e le culture islamiche possono dare alla pace nel Mediterraneo, che è stato possibile ottenere una partecipazione, un coinvolgimento, che si è visto essere molto importante, di questi mondi al fine di salvare delle vite umane».

Lei pensa che dopo l’incontro tra governo e opposizioni l’Italia sia stata percepita all’estero, e in particolare nel mondo arabo, come meno ancorata alla cosiddetta “coalizione dei willings”?

«Intanto, penso che il nostro sia stato un contributo importante, ma bisogna evitare, come sempre di fronte a un buon risultato, di tirare la coperta da una parte o dall’altra. Però, soprattutto, si devono tenere distinte la questione della salvezza delle vite umane dal contrasto radicale sulla presenza italiana in una guerra sempre più evidentemente sciagurata, a cui si può porre rimedio solo con il ritiro delle truppe. Ripeto, non c’è stata unità nazionale, l’opposizione ha dato il suo contributo mantenendo la sua autonomia. La straordinaria soddisfazione per la salvezza della vita delle due Simone riguarda questo episodio, non invece la collocazione dell’Italia».

Secondo lei come bisogna rispondere a Berlusconi, che chiede ci sia una “comunità d’intenti” anche in situazioni “molto meno penose” di questa?

«Bisogna rispondere di no, seccamente, senza timidezze. Così come ci siamo adoperati in uno sforzo eccezionale in una situazione eccezionale, bisogna assolutamente evitare di confondere lo stato di eccezione con la regola. E la regola è quella della contrapposizione con un governo che ha portato l’Italia in una guerra sempre più sciagurata e che porta avanti delle politiche sociali ed economiche neoliberiste, contro cui noi dobbiamo batterci con forza».

In molti, nel centrosinistra, dicono: ora tornino in campo le differenze politiche.

«Io non le ho mai viste mancare. Non è che sono venute meno, è che è stato distinto il terreno. Chiuso questo episodio in maniera positiva resta, non si aggiorna, il terreno del conflitto, a partire dalla richiesta del ritiro delle truppe».

Chiederete un confronto in Parlamento?

«Dobbiamo provocare una discussione in tempi rapidi su questo tema. Lo impone la spirale di violenza innescata da guerra e terrorismo, e il drammatico fallimento della prima per combattere il secondo».

Lei definisce la liberazione delle due Simone un piccolo granello nell’ingranaggio della barbarie. Cosa deve succedere perché nell’ingranaggio finisca qualcosa di più grande?

«Dobbiamo lavorare a una crescita del movimento per la pace, che già da questa liberazione esce rafforzato».

Come risponde a chi l’ha criticata all’indomani dell’incontro a Palazzo Chigi?

«Mi pare che l’argomento sia chiuso dal risultato».