Hamas «soddisfatto» della mediazione di Putin

I colloqui tra i dirigenti di Hamas e il governo russo rappresentano il trionfo, su entrambi i versanti, dello spirito di pragmatismo e della convergenza di interessi: il che spiega il malumore, diplomaticamente dissimulato ma non per questo meno evidente, dell’’Amministrazione Bush, che si vede in un certo senso accerchiata su un terreno su cui si stanno giocando le linee di fondo della sua strategia mediorientale, e non solo. Hamas ha infatti interesse a evitare quell’isolamento del suo governo a livello internazionale cui lavorano così tenacemente Usa e Israele (affiancati almeno da una parte dell’Unione europea, che non perde l’occasione per confermare la sua subalternità sui temi di fondo); e la Russia di Putin punta dal canto suo a riprendere sulla scena internazionale quel ruolo di comprimario, su base di parità se non addirittura in concorrenza con Washington, che aveva perduto nell’era Eltsin.

Nel caso specifico, Mosca è membro fondante del Quartetto di Madrid (con Usa, Onu e Ue) che è lo sponsor ufficiale della “road map”, ma si è vista costantemente esautorata, o comunque accantonata, dalla gestione esclusiva del piano di pace da parte americana, secondo i desiderata (i diktat) di Tel Aviv; adesso Putin batte il pugno sul tavolo e ricorda la sua presenza e il suo peso con un’iniziativa che ha preso tutti in contropiede. Tanto più che l’apertura ad Hamas – mai definita dai russi «organizzazione terroristica» come hanno fatto gli Stati Uniti e, al solito, l’Unione europea – avviene nello stesso momento in cui Putin sta portando avanti la mediazione attiva sull’altra scottante questione del nucleare iraniano: due punti sui quali l’iniziativa del Cremlino viene a mettere palesemente i bastoni fra le ruote alla strategia mediorientale di bush e dell’establishment neocon.

Naturalmente non è tutto oro quel che luccica: è probabile che sia Hamas che i russi si aspettavano dai colloqui qualche cosa di più di quel che ne è uscito; soprattutto il capo del Cremlino sperava di ottenere, almeno in forma indiretta, quel riconoscimento dello stato di Israele da parte degli islamici che avrebbe potuto scodellare nel piatto di Bush come un risultato acquisito e per il quale il ministro degli Esteri Lavrov ha, sia pure diplomaticamente, insistito fino all’ultimo. E tuttavia sono stati fatti dei concreti passi in vanti che mettono in moto un processo politico, del quale Putin -pur in assenza del riconoscimento – ha ritenuto di dover informare sia la Cancelliera Angela Merkel sia il presidente francese Jacques Chirac, in un evidente tentativo di tirare dalla sua i Paesi “che contano” in seno all’Ue. Non a caso il leader politico di Hamas Khaled Meshaal ha definito la visita a Mosca come «un’apertura molto importante». Per la quale ha comunque dovuto pagare un prezzo, che tutto sommato gli è costato abbastanza poco: quello di gettare a mare la solidarietà “islamica” con i ribelli della Cecenia che ha definito «un affare interno della Russia»; un gesto, questo, affiancato dall’incontro che la delegazione ha avuto ieri con il capo del Consiglio dei Muftì di tutta la Russia, Ravil Gainutdin, allineato su posizioni di «realismo». Putin ha incassato il tutto con evidente soddisfazione, sottolineata dalla «desolazione dei combattenti ceceni» espressa da un loro portavoce, Movladi Oudougov.

Anche sul piano del contenzioso con Israele la delegazione di Hamas non ha mancato di fare delle concezioni, alle quali peraltro non poteva sfuggire e che confermano comunque quell’atteggiamento pragmatico manifestato subito all’indomani delle elezioni di gennaio: confermando di non voler riconoscere Israele Hamas ha però lasciato capire che non è una posizione definitiva e ha subordinato un eventuale cambiamento alla fine dell’occupazione e al ritorno dello Stato ebraico ai confini del ’67; ed ha inoltre offerto da subito una tregua formale di un anno, a condizione di reciprocità ( e non come per la tregua del marzo 2005 che Israele non ha mai osservato). Solo dei primi passi, certamente; ma anche la conferma che la linea del muro contro muro perseguita da Washington e Tel Aviv non porta da nessuna parte e finirà per rivelarsi perdente, come ha sottolineato ieri il premier russo Primakov, definendo la vittoria elettorale di Hamas «un clamoroso fiasco della politica di Bush».