Dopo i lanci di missili katiusha su Haifa e il bombardamento massiccio delle regioni meridionali libanesi da parte di Israele, a Gaza molti palestinesi si chiedono come si svilupperà l’offensiva militare di Tel Aviv, che dal 25 giugno scorso ha già fatto nella Striscia e in Cisgiordania 88 morti (di cui 79 a Gaza), circa 345 feriti, distrutto infrastrutture civili di vitale importanza e costretto a fuggire dalle loro case di Beit Hanun e Rafah 250 famiglie (circa 2000 persone) che l’agenzia dell’Onu per i profughi palestinesi, Unrwa, sta sistemando in alloggi di fortuna.
Il timore più diffuso è che il mondo intero resti indifferente di fronte alle operazioni israeliane a Gaza, come avvenuto due giorni fa quando, nonostante l’uccisione di 26 palestinesi molti dei quali civili (tra loro sette bambini) – il bilancio più alto di vittime degli ultimi due anni – non ha trovato spazio adeguato nelle pagine dei giornali, presi a seguire l’improvvisa escalation lungo il confine israelo-libanese. A Gaza l’assedio israeliano non è terminato, anche se nelle ultime ore, forse per il massiccio impiego dell’aviazione in Libano, ha subito un rallentamento, almeno rispetto al giorno precedente. Si continua a soffrire e a morire, come nelle ultime settimane.
Ieri una quarantina di militanti dell’Intifada appartenenti a varie fazioni hanno tentato di forzare e riaprire il valico di Rafah, tra Gaza e l’Egitto, chiuso ormai da tre settimane perché l’esercito dello Stato ebraico non consente ai supervisori dell’Unione europea di raggiungere il terminal per monitorare le operazioni di transito, come invece previsto esplicitamente dall’accordo israelo-palestinese siglato lo scorso autunno. Un’azione scattata dopo l’arrivo della notizia che una donna ammalata, in attesa da giorni sul versante egiziano del valico di poter tornare a Gaza, era deceduta per la fatica. Si tratta dell’ottava vittima tra le centinaia di palestinesi che, in condizioni di vita spaventose, chiedono soltanto di far rientro alle loro case (ugualmente in attesa, ma in altre località egiziane, ci sono 4-5mila palestinesi). Le guardie di frontiera, agli ordini del presidente Abu Mazen, hanno convinto i militanti a rinunciare ai loro propositi.
Nello stesso momento le ruspe palestinesi scavavano ancora tra le macerie del ministero degli esteri colpito e in gran parte distrutto dai missili sganciati all’alba di ieri da un cacciabombardiere F-16 israeliano. L’esplosione non ha fatto morti ma, come accade in questi casi in città densamente popolate come Gaza city, ha provocato danni gravissimi agli edifici circostanti e numerosi feriti. Tra questi una decina di bambini, alcuni dei quali di pochi mesi. L’attacco è stato un avvertimento inequivocabile al ministro degli esteri palestinese Mahmud Zahar (Hamas), già sfuggito negli anni passati ad un assassinio mirato da parte dell’aviazione israeliana. «Qui siamo tutti bersagli di Israele – ha commentato Zahar, per nulla scosso dall’attacco al suo ufficio – io sono un bersaglio, le altre persone sono un bersagli, anche un albero è un bersaglio». Zahar, con piglio deciso, ha detto che l’unica strada per liberare il soldato israeliano rapito lo scorso 25 giugno, è quella di un negoziato per uno scambio di prigionieri. Hamas ieri ha riproposto ai guerriglieri sciiti Hezbollah di fare fronte comune per chiedere e ottenere da Israele la scarcerazione dei detenuti arabi, offrendo come contro-partita i militari sequestrati. «È arrivato il momento di un accordo serio e reale per porre fine alle sofferenze dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane», ha scritto il movimento islamico in un comunicato, difendendo «il diritto della resistenza palestinese e libanese di catturare soldati israeliani» e assicurando che «la minaccia israeliana di attaccare obiettivi cruciali in Libano o di rioccupare territori palestinesi non risolverà il problema».
Hamas ieri ha confermato che Mohamed Deif, comandante supremo delle Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato del movimento islamico, è fuori pericolo: le sue condizioni sono gravi ma non perderà l’uso degli arti inferiori. Deif, era rimasto ferito mercoledì a una gamba e alla schiena durante un attacco israeliano ad una palazzina di tre piani in cui avrebbe dovuto svolgersi un vertice dei capi militari islamici.
Israele ha detto di aver colpito una «riunione di terroristi», ma a rimetterci la vita non sono stati Deif e i suoi compagni, bensì i componenti di un unico nucleo familiare: padre, madre e sette figli. Le Brigate Ezzedin al-Qassam – il braccio armato del «movimento di resistenza islamica» Hamas – hanno minacciato di vendicarsi con quella che hanno annunciato come una risposta «incisiva e dolorosa». Intanto nelle ultime ore si sono aggiunte altre due vittime innocenti dell’offensiva israeliana contro Gaza: si sono spenti in ospedale un bambino e un giovane rimasti feriti nei giorni scorsi durante i bombardamenti israeliani nella Striscia.