Hamas annulla le leggi di Fatah

Un primo forte contrasto tra Hamas e Al Fatah è esploso ieri durante seduta inaugurale del Consiglio legislativo palestinese (Clp). Il movimento islamico, che con 74 seggi su 132 controlla l’assemblea, ha revocato gli emendamenti allo Statuto dell’Anp approvati dal precedente parlamento (dominato da Al Fatah) nella sua ultima seduta di metà febbraio e che rafforzavano i poteri del presidente Abu Mazen. Si è trattato di un piccolo colpo di stato di Hamas in risposta ad un analogo colpo di stato compiuto da Al-Fatah. Il mini golpe di ieri, condito da proteste e violenti scambi di accuse durante il dibattito in aula, ha fatto emergere differenze tra le due parti che si ritenevano fino a qualche giorno fa meno profonde e ha demolito qualsiasi ipotesi di un accordo di governo di coalizione Hamas-Al Fatah.

I 45 deputati di Al Fatah sono insorti quando il presidente del Clp, Aziz Dweik (Hamas) ha comunicato che l’ordine del giorno dell’assemblea prevedeva l’esame e l’abrogazione degli emendamenti allo Statuto dell’Anp approvati in precedenza che avevano assegnato ad Abu Mazen maggiori poteri di controllo sulle forze di sicurezza e la facoltà di nominare i giudici della neonata Corte costituzionale senza richiedere l’approvazione del Clp. I parlamentari di Fatah hanno abbandonato l’aula prima del voto in segno di protesta. Nei giorni scorsi la leadership di Hamas aveva annunciato che avrebbe fatto di tutto per annullare il rafforzamento dei poteri di Abu Mazen (che non ha commentato l’accaduto) e ha respinto ogni ipotesi di compromesso.

La nota parlamentare Hanan Ashrawi da parte sua ha descritto lo scontro nel Clp come «una manifestazione della democrazia palestinese» ma ieri tutti hanno capito che siamo solo ad un assaggio dei contrasti che potrebbero segnare la coabitazione tra Abu Mazen e Hamas. Intanto Al Fatah rimarrà fuori dal governo. «Sino ad oggi non abbiamo ascoltato alcuna novità di rilievo dai dirigenti di Hamas. Se vogliono che Al Fatah entri nel governo, allora dovranno rispondere ad alcune nostre precise richieste», ha detto Abbas Zaki durante i lavori Consiglio Rivoluzionario di Al Fatah riunito a Ramallah per decidere l’eventuale partecipazione del partito al futuro esecutivo.

Mentre i palestinesi si davano battaglia in parlamento, su Gaza scattava uno degli attacchi aerei israeliani più sanguinosi di questi ultimi mesi che è costato la vita a cinque persone, tra cui un bambino di 8 anni. I razzi sganciati da un aereo israeliano hanno colpito e ucciso a Shujayeh (Gaza city) Munir Suqar – descritto dal portavoce militare di Tel Aviv come un «alto esponente» del Jihad islami, accusato di essere e coinvolto nei recenti attacchi con razzi artigianali contro il Negev – e Ashraf Shaluf, un altro presunto militante islamico. Le esplosioni però hanno ucciso anche altre tre persone: il 17enne Ahmed Sousi, Raed Al-Batch, otto anni, e Ahmed Sousi, 24, colpevoli solo di passare nel luogo dove s’è verificato il raid. Una zia di Suqar, che ha assistito all’attacco dalla sua abitazione, è morta d’infarto. Almeno altri sette civili sono rimasti feriti. Una folla di centinaia di persone si è radunata davanti all’ospedale Shifa di Gaza city dove erano stati portati i corpi delle vittime, ha scandito slogan contro Israele e chiesto vendetta.

Israele ora vuole troncare ogni legame con Gaza, ha riferito il quotidiano Ha’aretz, e trasformare il confine con la Striscia in una frontiera internazionale. È prevista anche la separazione dalla rete idrica ed elettrica. Nessun lavoratore di Gaza potrà entrare in Israele, soprattutto nessun palestinese potrà viaggiare tra la Striscia e la Cisgiordania passando per lo Stato ebraico. In futuro per coprire la distanza di 90 km che lo separano da Ramallah (Cisgiordania), un palestinese di Gaza dovrà recarsi in Egitto, passare per il Sinai, entrare in Giordania e raggiungere il transito di Allenby con la Cisgiordania dove, peraltro, potrebbe essere respinto al mittente dalle autorità militari israeliane.

Intanto l’ipotesi di procedere a un ulteriore ritiro unilaterale dalla Cisgiordania in caso di vittoria alle elezioni israeliane del 28 marzo, ha fatto emergere tensioni all’interno di Kadima, il partito fondato quattro mesi fa da Ariel Sharon e dato nettamente in testa da tutti i sondaggi. Alcuni dirigenti del partito, tra cui l’ex leader laburista Shimon Peres, hanno detto di preferire un negoziato con i palestinesi a mosse unilaterali. Il suo leader e premier ad interim Ehud Olmert invece intende proseguire sulla strada tracciata da Sharon. Continuando a negare l’esistenza di un «partner palestinese», completerà la costruzione del muro, procederà alla annessione di ampie porzioni di Cisgiordania.