Il capo dell’ufficio politico di Hamas a Damasco, Khaled Meshal, si prepara a partire alla volta del Cairo per «colloqui decisivi» sullo scambio del soldato israeliano Gilad Shalit rapito il 25 giugno scorso con prigionieri politici palestinesi detenuti in Israele. Hamas chiede la liberazione di 1400 detenuti, con priorità accordata a donne, minori e malati. La proposta di mediazione egiziana, che per ora sembra tenersi in piedi, in quanto accettata anche da Israele, è che lo scambio avvenga in due tempi: il rilascio del militare di Tsahal in un primo momento e successivamente, dopo due mesi, quello dei detenuti palestinesi.
La visita egiziana di Meshal, prevista per la prossima settimana, assume tuttavia una duplice importanza in quanto oltre a rappresentare una svolta nelle altalenanti trattative, è suscettibile di influenzare le trattative per porre un freno alla rovinosa crisi interna tra Hamas e Fatah. Ieri sono circolate notizie su due ipotesi di negoziato da organizzarsi per la fine delle festività dell’Aid al Fitr, al Cairo o a Damasco, sotto l’egida di una mediazione a tutto campo che vede coinvolti Egitto, Qatar e Siria, impegnati a scongiurare un ulteriore scivolamento del conflitto interno palestinese.
Per il principale consigliere del premier palestinese Haniyeh, Ahmed Youssef i colloqui si terranno al Cairo con la partecipazione della Siria. La partecipazione delle autorità di Damasco ed i legami a doppio filo di queste ultime con Meshal, che mantiene un influenza primaria sulle milizie legate ad Hamas, potrebbe introdurre una svolta nei colloqui. Le divergenze tra Hamas e Fatah sulla soluzione della crisi restano per ora aperte. Se l’Egitto ha ritirato la proposta di formazione di un governo tecnico, che aveva registrato un sì da parte di Hamas ( che è tornata invece a rilanciare sul governo di unità nazionale sulla base del documento dei prigionieri di Marwan Barghouti) in quanto soluzione suscettibile di includere in maniera proporzionale e dunque maggioritaria, gli esponenti del movimento islamico. Il presidente Abu Mazen è accusato, da parte del governo palestinese, di insistere sull’ipotesi della soluzione tecnica. Youssef ieri ha chiarito che, nell’ipotesi di far resuscitare la soluzione basata sul documento dei detenuti, Hamas accetterebbe l’assegnazione di cariche a personalità di rilievo internazionale, aggiungendo che in ogni caso la carica di premier debba essere mantenuta da Haniyeh.
Nuovi sviluppi potrebbero scaturire dalla visita a Ramallah dell’Alto Rappresentante dell’Unione Europea e per la politica estera e la sicurezza Javier Solana, che ha incontrato Abu Mazen per discutere della questione ieri in serata al termine dei colloqui con i vertici del governo israeliano. Durante l’incontro con il vicepremier israeliano Peres ed il ministro degli Esteri Livni, Solana ha ribadito che per l’Europa la sola soluzione del conflitto israelo-palestinese resta l’implementazione della Road Map che prevede uno Stato palestinese ed uno israeliano. Tuttavia in aperta violazione dei principi della Road Map è giunta ieri notizia della decisione della Corte Suprema israeliana che ha autorizza la prosecuzione dei lavori di costruzione del muro intorno alle colonie di Karnei Shomron, Màale Shomron ed Emmanuel. In base a tale decisione è previsto l’esproprio di altra terra ai palestinesi. Per la Corte «le considerazioni di sicurezza (dei coloni, ndr) prevalgono sul danno» inflitto ai palestinesi.
A proposito di violazione dei diritti di questi ultimi, l’organizzazione israeliana per la difesa dei diritti umani B’Tselem ha diffuso ieri un rapporto sulle condizioni di detenzione dei circa 9000 palestinesi incarcerati per motivi politici in Israele. B’Tselem giudica «arbitraria e sproporzionata», nonché in violazione del diritto internazionale umanitario la pratica di deportazione di cittadini palestinesi in centri di detenzione nello Stato di Israele. Secondo il rapporto dell’organizzazione impegnata nella difesa dei diritti umani, ad almeno un terzo dei familiari dei detenuti è negato il permesso per entrare in Israele per far visita ai propri congiunti. Quando le visite sono consentite, secondo la denuncia, non sono possibili contatti fisici tra bambini e genitori o fratelli incarcerati. Anat Bar-Sela, autore dell’inchiesta di 53 pagine ha spiegato l’incongruenza del diniego da parte di Israele della concessione di “permessi” per le visite in base a «motivi di sicurezza» per lo Stato ebraico. «Le visite sono gestite dalla Croce Rossa Internazionale. Ciò significa che le persone utilizzano trasporti organizzati, scortati dalla polizia», ha affermato l’autore del rapporto, che sottolinea l’impossibilità per i familiari dei carcerati di abbandonare i mezzi preposti al trasporto verso i penitenziari al fine di infiltrarsi illegalmente in Israele. «Per questo non ha senso negare gli ingressi per ragioni di sicurezza», ha aggiunto Bar-Sela, che ha inoltre sottolineato che essendo Israele uno Stato occupante ed essendo i detenuti stati trasferiti da un territorio sotto occupazione, dovrebbe essere responsabilità delle autorità israeliane provvedere alle visite nelle prigioni israeliane. Le operazioni dell’Idf a Gaza hanno ieri provocato la morte di tre palestinesi, di cui un civile, mentre un colono israeliano di Kiriat Arba è rimasto ferito per un attacco da parte di palestinesi.