Halutz ha rotto il triumvirato

Le dimissioni del generale Halutz, capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, ha colto molti di sorpresa, giacché si pensava che la sua uscita di scena era ormai stata rimandata a un momento successivo. Le sue dimissioni possono essere l’inizio della fine di una leadership politica, il che darebbe uno scrollone a tutto il panorama politico israeliano. Ma non bisogna ingannarsi: se Halutz se ne va, le linee guida della politica israeliana non cambiano.
La seconda guerra del Libano ha avuto risultati vari e discordanti in Israele. Chi cerca stupidamente di capire chi sono stati i vincitori si presta al criminale gioco della guerra. Dalla guerra, entrambi i popoli sono usciti sconfitti.
L’esercito israeliano ha distrutto intere aree del paese dei cedri. Mentre la miopia dei suoi leader garantiva la distruzione di Hezbollah e l’instaurazione di un regime «più amichevole» la furia dei libanesi portava nuovi sostegni all’organizzazione sciita. E’ elementare capire che l’attacco esterno rafforza coloro che sono visti dal popolo come i difensori della sovranità nazionale, anche se tale difesa viene fatta al prezzo di molte vite e di enormi danni materiali. Non bisognerebbe dimenticare che Hezbollah è cresciuto e si è rafforzato durante gli «anni allegri» dell’invasione israeliana del 1982, che ha portato all’allontanamento dei palestinesi dal sud del Libano.
Il generale Halutz, molti dei suoi colleghi generali e la maggioranza degli israeliani erano certi che la superiorità militare e la capacità della poderosa aviazione israeliana avrebbero garantito una rapida e pulita vittoria. Ma quando un missile può essere trasportato da un luogo a un altro a dorso di mulo, i moderni cervelli tecnologici si sentono spaesati. E quando la facile e certa vittoria non arrivò e i missili continuarono a cadere sulla testa degli israeliani, grandi furono lo sconcerto e la delusione. Gli eroi di ieri si convertirono nei colpevoli di una sconfitta determinata da scarse capacità di previsione tattica.
La sconfitta è percepita da molti in termini tecnici, senza affrontare il problema principale: un esercito che, per quarant’anni, ha funzionato essenzialmente come un esercito d’occupazione si trasforma in una macchina oppressiva ma non funziona più bene come esercito con una prospettiva militare. Gli ufficiali fanno carriera come esperti nell’occupazione, ma non capiscono necessariamente la complessa arte della guerra.
Dalla fine della guerra, due sono i risultati principali: innanzitutto, oggi gran parte degli israeliani hanno capito chiaramente i limiti dell’uso della forza. L’appoggio allo scambio dei prigionieri – una delle ragioni delle azioni criminali perpetrate a Gaza e in Libano – è diventato maggioritario. In secondo luogo, la sconfitta dell’esercito ha creato un terreno più che fertile alle argomentazioni della destra. Se l’esercito non funziona bene, come potremo affrontare il rischio di una prossima guerra? A ciò è necessario aggiungere subito la questione chiave: ancora una volta «fonti militari» ribadiscono il rischio di un imminente attacco siriano e quello di un attacco atomico iraniano, rafforzato dalle minacce lanciate dal presidente Mahmoud Ahmadinejad.
E’ venuto il tempo degli estremisti. E’ l’ora della destra, che è disposta a usare la forza per mostrare all’Iran, alla Siria, a tutti, che la forza è ancora dalla parte di Israele. E’ l’ora di Netaniahu, di Barak, di tutti i leader che possono mandare al popolo un messaggio di forza.
E’ difficile capire perché le dimissioni di Halutz sono arrivate proprio in questi giorni. Il mese prossimo la commissione Vinograd che indaga sulla guerra pubblicherà le sue conclusioni provvisorie, che potranno colpire non solo Halutz, ma anche la leadership politica. I destini politici del premier Olmert, del ministro della difesa Peretz e del capo di stato maggiore Halutz erano intimamente legati tra loro. Ora Halutz rompe il triumvirato.
Se, in un futuro prossimo, le dimissioni di Halutz possono colpire i suoi soci politici, i problemi di base rimangono gli stessi. Se l’attuale leadership politica cade, il futuro immediato sarà ancora più triste e grave della realtà di questi giorni, una realtà in cui i Bush, gli Olmert e l’opposizione di destra preferiscono evitare ogni iniziativa politica, preferiscono dire di no al cammino della diplomazia e giocare al teatrino dei «negoziati», che non farà altro che produrre nuovi scontri cruenti.