Haiti, navi, elicotteri, marine. I soldati Usa saranno almeno diecimila

Padroni di Haiti. I soldati americani si ritrovano di fatto a governare il paese devastato dal terremoto, con la prospettiva sempre più concreta di rivolte e violenze della popolazione affamata. Un’eventualità che il presidente haitiano, René Preval, non esclude. Ieri il leader ha esposto le sue preoccupazioni al presidente americano Obama, con il quale si sente ormai ogni giorno. Pure alla missione dell’Onu nel paese, la Minustah, peraltro falcidiata dal sisma, si teme il peggio. «Purtroppo, con il passare del tempo, (gli haitiani) sono sempre più impazienti, e cresce la rabbia e la furia», ha detto David Wimhurst, portavoce di Minustah.
A Washington, comunque, ieri la situazione della sicurezza è stata giudicata «abbastanza buona». Così ha detto il ministro della difesa americano Robert Gates, che oltre al quasi archiviato Iraq, il sempre caldo Afghanistan e l’emergente Yemen, si ritrova a fare i conti con un nuovo fronte diventato, nel giro di poche ore, la priorità del governo di Barack Obama. «La chiave – ha spiegato il capo del Pentagono – è portare cibo e acqua il più rapidamente possibile per impedire che la loro disperazione si trasformi in violenza».
Come fare? Il ministero della difesa statunitense potrebbe dispiegare fino a 10 mila uomini in uniforme. L’ammiraglio Michael Mullen, capo di stato maggiore degli Stati Uniti, ha fatto sapere che entro lunedì ci saranno «dai 9 ai 10 mila soldati» mandati da Washington. Navi, elicotteri, marines: la Casa Bianca ha dispiegato tutta la sua potenza militare per accorrere in soccorso della popolazione caraibica, che può contare in una comunità di emigrati molto attiva negli Stati Uniti. Dalla portaerei nucleare Carl Vilson sono partiti diversi elicotteri per una prima ricognizione.
La tragedia di Haiti ha avuto conseguenze inaspettate: Cuba e Usa si sono riavvicinate in un comune impegno alla solidarietà. L’Avana ha accettato di aprire il suo spazio aereo per i voli d’emergenza americani. Le rotte degli aerei partiti da Miami, che solitamente dovevano evitare di passare sopra l’isola castrista, si sono notevolmente accorciate.
Nonostante la sicurezza del Pentagono, ieri ci sono stati diversi episodi che potrebbero essere solo un inquietante preludio delle violenze a venire. Le macerie di un supermercato sono state prese d’assalto, e si è scavato a mani nude alla ricerca di cibo. Sarebbe salvo, invece, l’enorme magazzino del programma alimentare mondiale della capitale haitiana. Ieri si erano rincorse notizie, poi smentite, che fosse stato depredato. In questa tragedia fatta di rabbia e fame, alcuni cadaveri sono stati utilizzati per costruire barricate sulle strade. E parecchi haitiani, senza casa, cibo o acqua, si sono lamentati con i tanti giornalisti arrivati sull’isola di Hispaniola.
Il responsabile per gli aiuti umanitari del Palazzo di Vetro, il britannico John Holmes, ha annunciato che i morti accertati dalle Nazioni Unite sono oltre 9 mila. Holmes ha parlato anche di «tombe di massa» dove sarebbero già state sepolte 7 mila persone. Difficile avere numeri precisi sui bilanci complessivi: il braccio americano dell’Organizzazione mondiale per la sanità (Paho) stima un numero oscillante tra i 50 e i 100 mila, altri si spingono fino al mezzo milione. Secondo l’ufficio Onu per gli affari umanitari (Ocha) le persone ancora senza cibo né aiuti sono circa due milioni, e nella sola capitale sarebbero almeno 300 mila.
Nei prossimi giorni arriveranno ad Haiti il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon (ma non prima delle prossima settimana), e con ogni probabilità anche l’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, incaricato assieme al suo predecessore George W. Bush di aiutare la cooperazione internazionale con un occhio di riguardo al settore privato.