Haifa street, la «Falluja di Baghdad». Gli Usa cercano di rioccupare la città

Una brigata dell’esercito americano e due delle milizie filogovernative, in tutto circa 1300 uomini, dopo la durissima battaglia di martedì, durata oltre dodici ore, con la resistenza e gli abitanti di Haifa street, ieri hanno completamente circondato il quartiere, già soprannominato la «Falluja di Baghdad», che sorge sulla riva destra del Tigri, a poche centinaia di metri dalla «zona verde». I militari Usa e i miliziani iracheni hanno bloccato ogni via di accesso o di fuga e con i loro mezzi corazzati si sono piazzati sui cinque ponti strategici (al Jumuriya, Sinak, al Ahrar, Shuhada, ma anche sul più lontano Sabatash Tamuz, davanti al palazzo abbasside) sul Tigri perpendicolari ad Haifa street. Il controllo di questi ponti è essenziale per le truppe di occupazione perché assicura loro la possibilità di muoversi su e giù tra il nord e il sud e tra l’est (a maggioranza sciita) e l’ovest (più sunnita) della capitale dove si trovano anche l’aeroporto e la «zona verde».
I membri della resistenza sembrano, da parte loro, essersi volatilizzati nella parte meridionale del quartiere, verso la «zona verde», ma occuperebbero ancora gran parte delle loro posizioni nella sezione più settentrionale e nelle viuzze della città vecchia. Colpi di arma da fuoco si sono uditi, anche se a tratti, per tutta la giornata di ieri. Le truppe Usa hanno piazzato cecchini sugli edifici più alti pronti ad aprire il fuoco contro chiunque venga visto camminare per la strada mentre le truppe irachene procedono ai rastrellamenti casa per casa. Carri armati e pesanti blindati percorrono lentamente Haifa street coalla ricerca di un nemico sfuggente. La popolazione o è fuggita o vive negli scantinati da almeno cinque giorni in condizioni difficilissime. L’attacco, dal momento che le truppe e la polizia irachena, sono composte quasi esclusivamente da miliziani filo-iraniani o peshmerga kurdi, ha subito assunto i toni – soprattutto nei quartieri sunniti (che a Baghdad sono la maggioranza) – di un nuovo tentativo settario di «ripulire etnicamente» la capitale dalla popolazione sunnita portato avanti dagli occupanti con l’appoggio del governo al Maliki. Ed è quello che ieri mattina denunciava il più diffuso quotidiano iracheno, «Az Zaman» secondo il quale «gli abitanti del centro di Baghdad hanno respinto un attacco delle milizie governative appoggiate dai bombardamenti americani». Dello stesso tono il comunicato dell’Associazione degli Ulema musulmani (sunnita), che ha lanciato un duro atto di accusa contro il governo e le sue milizie accusandole di aver giustiziato sul posto una decina di giovani del quartiere e contro i bombardamenti Usa sui rioni di Mushahad e Cheik Ali – sempre nella zona – che avrebbero provocato molte vittime civili. Considerando che la resistenza ha ammesso una decina di morti la maggioranza delle vittime sarebbe quindi composta da semplici abitanti del quartiere e non certo da guerriglieri. Nelle moschee sunnite della capitale, già da venerdì scorso, si lanciano appelli alla popolazione perché si prepari alla nuova «battaglia per Baghdad» e ad un «imminente, generale, assalto da parte delle milizie» alla parte occidentale della città e ai quartieri sunniti, come Adamiya, che si trovano al di là del fiume dove c’è una certa prevalenza sciita.
Volantini che invitano i combattenti a trasferirsi a Baghdad per «fermare gli Usa e i safavidi (i persiani)» sono apparsi nelle ultime ore in quasi tutti i villaggi attorno a Baghdad . L’imminente scontro sembra sul punto di passare i confini dell’Iraq con la massima autorità sciita, l’ayatollah (iraniano) al Sistani, che avrebbe benedetto l’imminente offensiva americana – e il governo saudita che, appresa la notizia della «scomparsa» dopo essere stati arrestati dalla polizia irachena di quattro importanti sheik (Khalid al Dosseri, Saeed Azzawi, Ahmed al Eisawi e Ayad al Juburi) e di una trentina di pellegrini al ritorno dal viaggio alla Mecca, avrebbe fermato, a Medina, il direttore delle relazioni esterne del movimento di Moqtada al Sadr, sheik Hassan al-Zargani per la cui liberazione sarebbero intervenute le autorità americane.
E proprio il comportamento del leader sciita radicale Moqtada al Sadr, assai influente nel governo al Maliki, nei confronti dell’offensiva Usa costituisce uno degli interrogativi più rilevanti di questa seconda battaglia per l’occupazione della capitale. E ancora. Come faranno gli Usa a portare avanti il loro tentativo di isolare la resistenza sunnita, mostrando di voler colpire gli squadroni della morte delle milizie filo-iraniane del governo al Maliki, se queste sono state arruolate da loro stessi nelle forze di sicurezza irachene?