Un silenzio colpevole. E un’ accusa precisa che pesa sul capo del comando dei marines in Iraq in seguito alla strage dei 24 civili iracheni ad Haditha il 19 novembre scorso: non aver adempiuto al proprio dovere. Per alcuni ufficiali l’ addebito potrebbe sfociare in un’ accusa più grave: occultamento di reato. Nel giro di due giorni, svela il New York Times, il comando apprese che i civili erano stati uccisi a fucilate, e non dallo scoppio di una bomba come hanno testimoniato i soldati. Tuttavia, non la considerò una ragione sufficiente per un’ inchiesta. Così un anonimo generale dei marines: «Impossibile credere che il comando non conoscesse l’ accaduto, che non sapesse che la cosa puzzava». Uno scandalo nello scandalo, e la spiegazione del perché il comando sia ora oggetto di un’ indagine parallela a quella sugli autori della strage. A differenza delle «torture di Abu Ghraib», per le quali sono stati condannati 11 militari di basso rango, nella strage di Haditah anche i comandanti potrebbero finire davanti alla Corte marziale. Rivelazioni pesanti. Secondo il New York Times, il comando «non giudicò insolita» la discrepanza tra la versione iniziale del plotone che uccise i civili e quella fornita il giorno successivo dai marines che rimossero i cadaveri: i 24, concluse, erano comunque morti nel corso di un duro scontro a fuoco, non si trattava quindi di crimini di guerra. Diverso il parere degli inquirenti che interrogarono il capitano Luke McConnell della compagnia Kilo, di cui faceva parte il plotone, e il suo superiore, il colonnello Jeffrey Chessani, ma anche i generali Richard Huck della II divisione dei marines e Stephen Johnson del II corpo di spedizione. Il maggiore e il colonnello sono stati rimossi, uno o più generali potrebbero esserlo a giorni. Il New York Times ha intervistato Gregory Watts, l’ ufficiale dell’ esercito che condusse l’ inchiesta preliminare: gli interrogati non furono convincenti. A Bagdad, il premier Nuri Al Maliki non ha nascosto il timore che lo scandalo venga insabbiato. Un suo aiutante, Adman al Kazimi, ha respinto l’ assoluzione data dal Pentagono ai presunti autori di un’ altra strage, quella del 15 marzo a Ishaqi (11 morti) e ha annunciato un’ inchiesta. Il governo, ha detto, esige che i militari americani porgano le scuse e indennizzino le famiglie. Il generale George Casey, capo delle forze della coalizione in Iraq, e l’ ambasciatore Usa Zalmay Khalilzad si sono ieri recati da Al Maliki, rassicurandolo che trasmetteranno l’ intero carteggio su Haditah. Mentre il Pentagono riesamina altri possibili casi di stragi di civili, il comandante dei marines, generale Michael Hagee, anticipa di un mese «l’ addestramento etico». Tornato dall’ Iraq, Hagee sta visitando le basi negli Usa con un manuale di 38 pagine: come comportarsi in casi difficili, in zone popolate, quando i soldati devono decidere all’ istante se sparare. Ma il rimedio potrebbe essere tardivo. Il Wall Street Journal, favorevole alla guerra, lamenta che negli Usa si stia formando una «sindrome dell’ Iraq», analoga a quella del Vietnam: l’ opinione pubblica sta perdendo la fiducia nei soldati. Il Los Angeles Times, rilevando che meno del 40% degli americani è favorevole al conflitto, evidenzia un monito del democratico John Kerry, sfidante di Bush nel 2004: meglio uscire dall’ Iraq entro fine anno e rinunciare alla ricostruzione, se Bagdad non si assume la responsabilità della sicurezza.