Il massacro di Hadhita, cittadina irachena della provincia di Anbar, compiuto da una pattuglia di marines che il 19 novembre del 2005 uccise per vendetta, a sangue freddo, 24 civili iracheni, undici dei quali donne e bambini, ha squarciato il velo di silenzi e complicità che da tre anni stanno nascondendo all’opinione pubblica la brutale realtà dell’occupazione dell’Iraq. Insieme ai particolari dell’eccidio stanno così emergendo anche i tentativi di nascondere quanto era successo da parte degli stessi comandi dei marines che hanno tentato a lungo prima di sostenere che «quindici iracheni» erano stati uccisi nello scoppio di un ordigno e poi che si sarebbero trovati nel mezzo di una sparatoria tra soldati Usa e guerriglieri. Tesi queste prima smentite da alcune riprese filmate di un free-lance iracheno che aveva ripreso i corpi delle vittime e le tre case dove era avvenuta la strage (altri quattro studenti erano stati uccisi con il loro tassista per la strada) e poi dalla stessa inchiesta interna dei marines scattata quando il settimanale «Time» aveva reso noto di essere in possesso di testimonianze e materiali in grado di smentire la versione ufficiale. L’indagine del colonnello Gregory Watt condotta tra febbraio e marzo – ha rivelato ieri il New York Times – era così già arrivata alla conclusione che per mesi i marines avevano mentito su quanto era avvenuto: a smentirli c’erano i certificati di morte delle vittime che dimostravano come i civili fossero stati uccisi da colpi di armi da fuoco, a bruciapelo e all’interno delle case. Senza alcuna traccia di esplosioni se non quella avvenuta prima del massacro, poco lontano, nella quale era stato ucciso un soldato Usa.
E già emergono le denunce di altri due possibili crimini: il primo è stato denunciato ieri dallo stesso nuovo ambasciatore iracheno a Washington, Samir al Sumaidaie, il quale a poche ore dalla presentazione delle sue credenziali ha sostenuto che, già prima di novembre, suo cugino, anche lui residente ad Haditha, dopo aver aperto la porta ai marines ed essersi offerto di far loro da interprete sarebbe stato ucciso a sangue freddo nella camera dei genitori in «modo intenzionale» e «senza motivo» da uno dei militari. Il secondo caso riguarderebbe altri tre studenti disarmati, anch’essi uccisi dai soldati senza alcun apparente motivo, sempre ad Haditha. L’odio dei marines per gli abitanti di questa piccola città nella valle dell’Eufrate, tra Baghdad e la Siria, toccò livelli mai raggiunti la scorsa estate quando vennero uccisi in città sei cecchini Usa nascostisi su alcuni palazzi e altri 14 marines finiti in una imboscata.
Il presidente Bush sembra essere stato preso di contropiede dall’esplosione della «My Lai» irachena (dal nome di un villaggio vietnamita luogo di una terribile strage nel 1968), ha promesso di perseguire i responsabili «se i marines hanno davvero violato la legge» e ha sostenuto – tramite il suo portavoce – di aver saputo della strage dalla stampa.
Intanto però gli «errori» dei soldati Usa sembrano essere sempre più la regola: due donne, una delle quali stava per partorire, si stavano dirigendo ieri verso l’ospedale di Samarra quando una pattuglia Usa ha aperto il fuoco contro di loro uccidendole all’istante in una gragnuola di colpi. Le violazioni dei diritti umani ai danni della popolazione sembrano procedere di pari passo con l’affondare delle truppe di occupazione americane nella palude irachena. Ed in particolare nella provincia di Anbar dove ormai la capitale Ramadi sembra essere del tutto fuori del controllo delle truppe Usa. La situazione è così precaria che i comandi Usa – smentendo nei fatti gli annunci di una imminente riduzione del contingente in Iraq hanno deciso di inviare nella provincia di Anbar, ed in particolare a Ramadi altre due brigate per circa 1500 uomini. In tal modo gli effettivi Usa sono di nuovo saliti a circa 134.000. Intanto il governo iracheno e le autorità Usa hanno reagito con durezza alla minaccia del partito sciita di Basra «Fadhila» di bloccare l’export petrolifero se non gli verrà dato, come nel precedente governo, il ministero del petrolio o, in via subordinata, una tangente sul petrolio che da Basra viene esportato in tutto il mondo. Il nuovo premier al Maliki ha imposto ieri alle forze di polizia e di sicurezza della città di riprendere la collaborazione con le truppe occupanti britanniche e ha proclamato lo stato di emergenza sulla capitale petroliera del sud.