Guerra Usa. Senza fondo.

Dopo aver ottenuto dal Congresso, la scorsa primavera, 79 miliardi di dollari per la guerra in Iraq da spendere nell’attuale anno fiscale che termina il 30 settembre, il presidente Bush è tornato a battere cassa: ha chiesto per il prossimo anno fiscale, che inizia il 1 ottobre, altri 87 miliardi di dollari. Di questi, 66 da destinare alle operazioni militari e di intelligence, il resto alla «ricostruzione» in Iraq e anche in Afghanistan. I costi della guerra stanno infatti lievitando. Per la prima guerra del Golfo del 1991, gli Stati uniti spesero 61 miliardi di dollari, equivalenti a circa 80 miliardi al valore attuale. In realtà essi spesero appena il 20% di questa cifra, dato che l’80% se lo addossarono gli alleati. Ben più pesante è il costo della seconda guerra del Golfo. Soprattutto per due ragioni: anzitutto perché, una volta terminati i bombardamenti aerei e l’offensiva terrestre, la guerra non è finita ma è continuata, a causa della resistenza irachena, sotto forma di un logorante e sempre più costoso «conflitto a bassa intensità»; in secondo luogo, perché gli alleati hanno contribuito (perlomeno finora) solo in piccola parte alle spese generali. Così il costo della guerra in Iraq è praticamente raddoppiato: dai 2 miliardi di dollari al mese, preventivati in aprile, si è passati a circa 4 miliardi al mese solo per le operazioni militari. Questa cifra non comprende il costo delle munizioni impiegate in combattimento e quello per sostituire il materiale militare danneggiato. Lo stesso è avvenuto in Afghanistan, dove il costo delle operazioni militari è salito a circa un miliardo di dollari al mese. Ciò significa che gli Stati uniti spendono, solo per le operazioni in Iraq e Afghanistan, 5 miliardi di dollari al mese. Occorrerebbero inoltre, secondo una stima prudenziale fatta da Paul Bremer (l’«amministratore» statunitense dell’Iraq occupato), 100 miliardi di dollari per ricostruire nei prossimi tre anni le infrastrutture irachene distrutte dalla guerra e dall’embargo, ma la cifra necessaria, secondo diversi analisti, potrebbe superare i 600 miliardi. D’altronde, senza un investimento nelle infrastrutture essenziali, non si possono sfruttare a pieno le potenzialità economiche del paese, soprattutto quelle dell’industria petrolifera che, già di fatto nelle mani delle compagnie statunitensi e britanniche, sarà ufficialmente privatizzata nel giro di due anni, come ha dichiarato al Financial Times (5 settembre) il «ministro del petrolio» iracheno. Ma, per sfruttare la ricchezza petrolifera irachena, occorre un paese «pacificato».

Da qui la richiesta di un altro stanziamento per le operazioni militari e di intelligence: esso si aggiunge ai 400 miliardi di dollari del budget 2004 del Pentagono che, comprese altre voci di carattere militare, supera i 500 miliardi, quasi un quarto del bilancio federale. Un bilancio in rosso per quasi 500 miliardi di dollari. Non si preoccupano, però, i massimi responsabili dell’amministrazione: finché c’è guerra, c’è speranza.