Guerra delle caricature, ora è Hamas a mediare

Ieri è cominciata la festività religiosa centrale della più importante minoranza dell’Islam, gli sciiti: l’Ashura che celebra il martirio dell’imam Hussein, nipote di Maometto, da parte dei “califfi della luce” fondatori dell’egemonia sunnita. E dall’Iran al sud dell’Iraq, dal Pakistan (dove ad Hangu nel nordovest una processione ha subito un attacco dinamitardo, forse sunnita, con 27 morti) al Libano, soprattutto, si è trasformata nell’occasione di oceaniche proteste contro le «offese al Profeta». Quelle veicolate dalle famigerate vignette danesi, dagli atteggiamenti del governo Rasmussen, dalle ripubblicazioni in Norvegia, in Francia e generalmente in Europa.
Proprio nelle stesse ore, dagli Usa, il presidente Bush ha ribadito la linea d’attacco annunciata mercoledì dalla sua segretaria di Stato, Condoleeza Rice: rivolgendo l’accusa di aver «complottato» l’ondata di proteste a Iran e Siria, d’altronde colpevoli di «coprire il terrorismo».

Ma la partita decisiva che si gioca dietro le quinte della “guerra dei cartoons”, continua ad essere la transizione mediorientale in seguito alla vittoria di Hamas nelle elezioni palestinesi: evento dopo il quale, nei fatti, è cominciata la vera escalation di rinnovate pubblicazioni delle caricature di Maometto e di violente reazioni nel mondo musulmano.

Ieri la mossa più clamorosa e spiazzante l’ha compiuta, dopo l’apertura negoziale ad Israele del giorno prima dal Cairo, lo stesso Khaled Meshaal, il leader dell’Herekat al-Mukawama al-Islamya (organizzazione della resistenza islamica, appunto Hamas). Parlando stavolta da Doha, capitale del Qatar – il paese del principale media internazionale arabo, la tv al Jazeera -, Meshaal ha teso la mano all’Occidente, specialmente all’Unione europea. E ha candidato il proprio movimento, in attesa di formare il nuovo governo dell’Anp e di “vedere le carte” del dopo-Sharon israeliano, a «svolgere un ruolo per calmare la situazione tra il mondo islamico e i paesi occidentali, a patto che questi paesi s’impegnino a porre fine alle offese ai sentimenti dei musulmani».

Questo mentre l’altro forte movimento islamico armato che da anni affronta Israele, l’Hezbollah (partito di dio) dei musulmani sciiti del Libano, in asse storico con Teheran ma anche con Damasco, approfittava invece dell’Ashura per alzare il tiro. Il leader Sayyed Hassan Nasrallah ha parlato ad oltre mezzo milione di persone radunate nella periferia sud di Beirut per avvertire che se ieri il messaggio era «difendere la dignità del nostro Profeta con una parola, una dimostrazione», occorre che «Bush e il mondo arrogante sappiano che se costretti siamo pronti a difendere il nostro Profeta con il sangue e non più a parole».

Intanto l’ondata di proteste islamiche, al di là dell’inizio della festività sciita e delle nuove minacce di attacchi suicidi giunte dai Taleban afghani, ha continuato a crescere ad ogni latitudine. Ancora una volta in Indonesia, con massicci cortei degli studenti e nuovi roghi di bandiere danesi. Ma anche in Sudafrica, a Johannesburg, dove hanno sfilato in 15mila, con slogan inneggianti ad Hamas: mentre il vescovo e Nobel per la pace Desmond Tutu ha invitato al «rispetto» e alla «comprensione».

E’ poi la stessa ufficialità del mondo arabo a proseguire il braccio di ferro, sul piano politico come su quello economico. Se in Marocco il parlamento ha votato una mozione che «denuncia con forza» la pubblicazione delle vignette, in Egitto la camera di commercio ha sospeso i cambi di corone danesi e norvegesi, eliminandole dai listini. Così anche negli Emirati Arabi Uniti, dove le merci provenienti dalla Danimarca sono ritirate dalla vendita, con danni già per centinaia di milioni di euro. Dal Turkmenistan s’è fatto sentire il ministro degli esteri per definire «inaccettabili» le iniziative che «insultano i sentimenti religiosi». Mentre giornali sono stati soppressi in Malaysia come in Yemen, per aver pubblicato i disegni.

Ad Algeri, invece, i media hanno pubblicato una lettera del direttore dello Jyllands-Posten (che ha nel frattempo bloccato la ripubblicazione di altre vecchie caricature, stavolta sulla Shoa degli ebrei), in cui il giornalista danese porge le sue scuse «ai musulmani del mondo intero». Proprio come l’imam di Copenhagen, cui si imputa di aver “ordito” le violente reazioni, ha lanciato un comunicato in cui dice che «i vignettisti non hanno alcuna colpa» e che «non ci sarà alcuna fatwa».

Quanto alle ingerenze di Bush, stavolta cerca di far argine il Palazzo di Vetro. Se la Casa Bianca continua a voler scegliere come interlocutori, sia pur negativi, la Siria e l’Iran, è stato il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, a dichiarare di non avere «alcuna prova» di un piano di Damasco e Teheran all’origine delle proteste. Aggiungendo, anzi, di considerare «offensive e provocatorie» le vignette, sottolineando come «la libertà di stampa» che pure ha difeso «non sia una licenza di offendere» e concludendo: «Onestamente, non riesco a capire come un giornale possa ripubblicarle oggi», con una scelta che non farebbe «che gettare benzina sul fuoco».