Guardiani del faro

Rispondendo alle critiche rivolte alla prefazione che accompagna Uomini e città della Resistenza di Piero Calamandrei, riedito da Laterza, Sergio Luzzatto sul Corriere della sera di ieri ascrive a se stesso il ruolo di demistificatore e ai suoi critici in blocco quello di idolatri ovvero di «guardiani del faro» della Resistenza. Fosse così sarebbe preoccupante, perché una simile immagine presuppone il maggioritario del senso comune in chi la formula e la condizione minoritaria, di isolamento anacronistico, per chi la riceve. Tant’è. Peccava forse di scarso spirito bipartisan ma probabilmente non peccava di idolatria la recensione dal titolo Epigrafi resistenti come la pietra ruvida del ricordo uscita domenica sul manifesto. Se infatti Luzzatto imputa a Calamandrei la religione della morte, anzi della Bella Morte, in continuità con la cultura romantico-decadente (propaggini nazionaliste e fasciste incluse) accusandolo di retorica mortuaria, l’articolo intendeva viceversa: a) distinguere tra quanto è attestato nel Diario di Calamandrei (la sua condizione privata di desistente) da ciò che esprime, al contrario, la sua scrittura pubblica; b) ragionare sulla «retorica» di Uomini e città segnalandone la forma complessa e comunque avversa alla retorica tradizionale, perciò distinguendo con Primo Levi tra «memoria» (flusso nostalgico, alibi) e «ricordo», cioè ritorno esplosivo dal passato di frammenti di verità; c) riaffermare il valore civile di una scrittura pensata al presente e per il presente. Si trattava di distinzioni, prima che di obiezioni. Ignorandole, Luzzatto conclude la sua replica con l’affondo di chi peraltro conosce bene la retorica: «Nell’Italia del 2006, l’eredità culturale dell’antifascismo è già abbastanza in crisi, e i meriti epocali della Resistenza sono già abbastanza negletti, perché si pensi giusto di preservarli condannando i `padri della Patria’ al fossile destino della monumentalizzazione». In che senso? Lo storico ha appena aggiunto che le carte continuano a confermare il contrario, vale a dire la sua tesi. Quali carte? Il Diario o il libro intitolato Uomini e città?: non sono affatto la stessa cosa, si tratta di due generi diversi, spesso diametrali, e in questo caso denotano modalità e destinazioni opposte. Il diario chiarisce la radice psicologica, tocca una zona introversa (spesso ambigua, irresoluta), il testo a stampa è sempre il risultato di una strategia, è scrittura in atto. Proviamo a rovesciare l’esempio prendendone uno ancora più vistoso: nella sua corrispondenza privata Louis-Ferdinand Céline, dico Céline, si definisce uno stilista privo di idee, l’erede più formalista e asettico di Flaubert: chi gli crederebbe? Chi crederebbe alla sua sola verità «psicologica»? Chi non vedrebbe che Bagattelle per un massacro scoppia, sulla pagina aperta davanti al lettore, di pornografia antisemita?

L’impressione a questo punto è che il guardiano del faro non sia altri se non Piero Calamandrei, il quale scriveva in tempi calamitosi quanto i nostri, tempi di sostanziale oblìo della Resistenza e di pesante sospetto, fino all’incuria, per la Costituzione repubblicana.

Al riguardo, Luzzatto conosce senz’altro la pagina di un altro fra i più celebri necrofori della Resistenza, Ferruccio Parri, la stessa che introduce Si fa presto a dire fame (1954) di Piero Caleffi, il memoriale di Mauthausen: «Quando Piero Caleffi mi ha chiesto di presentare questo suo libro di ricordi […] pensavo che il mio invito a leggere dovesse dire press’a poco così: compagni di dieci anni addietro, ma soprattutto voi che avete pagato senza fiatare quello che la lotta vi ha chiesto […] e voi italiani inconsapevoli e smemorati, che non avete mai saputo o avete dimenticato qual prezzo di sacrificio e di sangue, di coraggio e di fede la gioventù d’Italia ha pagato per voi; ed anche voi, per vostra vergogna, baldanzoso esercito degli imboscati e dei profittatori: leggete tutti qui.// Leggete qui, perché i fatti, la vita, la passione di quei giorni lontani risorgeranno dal fondo della memoria come fossero di oggi.»

Questo è Ferruccio Parri e anche questa, ovviamente, è retorica: una prece anche per lui?