Guantanamo, stato di abuso

«Chiudere Guantanamo». Il coro si allarga, si estende. Alla lunga lista di top leader che hanno chiesto di farla finita con quella vergogna, fra i molti anche il premier inglese TonyBlair e il cancelliere tedesco Angela Merkel, si è aggiunto venerdì anche il ministro degli esteri italiano Massimo D’Alema.MaGuantanamoresta là. I capi statunitensi annuiscono gravemente, sempre più imbarazzati, e talvolta infastiditi, dal pressing generale, alzano gli occhi al cielo, da qualche tempo sospirano «piacerebbe pure a noi ma….». Intanto quel lembo che ipocritamente si dichiara extraterritoriale ed extragiudiziale sta diventando sempre più interno, più profondo, un vero lato oscuro dell’anima americana, e a questa dunque indissolubilmente legato finché non sarà fatta chiarezza tra i mezzi e i fini, tra il «noi» e il «loro». Tant’è che i metodi che lì sono applicati si «affinano» e si esportano, insieme alla guerra al terrorismo e alla lotta per la democrazia. Prima c’è stato Abu Ghraib, poi sono venute fuori le orribili prigioni afghane, prolungamento naturale della guerra. I nemici sono ovunque, si moltiplicano, corpo estraneo e irriducibile che si può solo combattere e spazzare via, umiliare e negare. Al più contenitore di preziose informazioni che, in nome di una sicurezza e salvezza in gran parte «nostre», andaranno estorte con tutti imezzi. Chi, soprattutto negli Stati uniti, non si rassegna alla barbarie in marcia, passa all’azione. Così vengono resi pubblici, sia pur pesantemente censurati, i rapporti d’indagine su torture e abusi, strappati al Pentagono a forza di Freedom of Information Act. E il lato oscuro riaffiora. Come è avvenuto venerdì, quando sono emerse le crudeltà inflitte nel 2004 ai prigionieri iracheni dalle truppe addette alle Operazioni speciali. Unelenco che sa di amaro déjà vu.Detenuti denudati, sottoposti a docce gelate e poi interrogati all’aria condizionata fredda, tenuti a pane e acqua per 17 giornidi seguito, rinchiusi in cubicoli alti poco più di 1 metro e 20 centimetri, lunghi altrettanto e larghi mezzo metro. Sepolti vivi, e almeno un prigioniero c’è rimasto per sette giorni. Il generale Formica che ha condotto le indagini è giunto alla conclusione che restare in queste condizioni per due giorni «è ragionevole». Oltre no, bontà sua. Anche 17 giorni a pane e acqua è troppo, ha detto il generale, anche se il medico del comando militare gli ha detto che «ci vogliono più di 17 giorni per sviluppare una deficienza di vitamine o proteine». Per il generale Formica, poi, i ragazzi delle Operazioni speciali non sono mele marce, non gli si possono attribuire «mancanze personali ». A venire loro meno è stata «una adeguata guida». E qua forse si può, una volta tanto, convenire, viste le condanne comminatein precedenza ai piccoli emedi pesci di Abu Ghraib. E allora, basterà «chiudere Guantanamo »? E come si riuscirà a chiuderla se, posta la richiesta di rito e messa a posto la coscienza, si prosegue affermando imperitura fedeltà all’alleato. Qualcosa di piùpressante andrebbe fatto, per prendere le distanze da un’umiliazione dell’umanità che non dovrebbe più avere diritto di esistenza e rende grottesco ogni discorso di liberazione e di progresso. E’ vero, ritirare le truppe dall’Iraq non salverà la coscienza di nessuno, non farà finire la guerra, non renderà giustizia agli umiliati e offesi. Sarà solo un inizio necessario. Il primo no.