Con l’11 settembre arriva la svolta per la base navale dimenticata all’estremità orientale dell’isola di Cuba. Il governo americano vi trasferisce «i combattenti nemici» catturati in Afghanistan. Nasce così la prigione di massima sicurezza diventata un lager. Torture e abusi hanno fatto scuola per Abu Ghraib.
Una base navale dimenticata, senza più nessuna utilità dal punto di vista militare, è diventata il simbolo della vergogna e delle ingiustizie di cui l’amministrazione Bush si è macchiata agli occhi del mondo intero nella guerra al terrorismo. Gli Stati Uniti si assicurano nel 1898, con un contratto capestro di durata illimitata, l’affitto di 116 chilometri quadrati nell’estremità orientale dell’isola di Cuba e v’insediano la US Naval Station Guantanamo Bay (Gitmo), a un migliaio di chilometri in linea d’aria dalle coste della Florida. È questo il teatro rovente della crisi dei missili con Mosca nel pieno della Guerra fredda. Con il crollo dell’Unione sovietica il destino della base sembra segnato: drastico ridimensionamento o chiusura; la stessa sorte toccata a un altro gioiello della Marina, quello di Charleston in North Carolina. La svolta avviene dopo gli attacchi dell’11 settembre, quando all’inizio del 2002 il governo americano inizia a trasferire a Guantanamo i «combattenti nemici» catturati in Afghanistan. Nasce così la prigione di massima sicurezza per quella che il presidente Bush definisce «la feccia dell’umanità». I prigionieri sono descritti come «individui pericolosissimi, nemici giurati dell’America e della libertà».
La scelta del luogo non potrebbe essere più oculata per servire i propositi di segretezza della Casa Bianca. Una base militare in territorio ostile, affacciata su acque internazionali, che sfugge alla giurisdizione di qualsiasi tribunale. Un buco nero in cui tutto può accadere senza che se ne sappia assolutamente nulla. Fanno fede le sole notizie ufficiali dettate dal Pentagono. Le associazioni per i diritti umani – Convenzione di Ginevra alla mano – sollevano immediatamente obiezioni sulla legalità di Guantanamo. Parole al vento di fronte all’orrore suscitato dalle stragi di al Qaeda. Sarà la cronaca a rammentare che il rispetto delle leggi vale soprattutto nei momenti di massima crisi. Il primo rapporto della Croce Rossa Internazionale, 62 pagine riservate consegnate al Dipartimento di Stato Usa, riscontra 29 violazioni dei trattati internazionali sul trattamento dei prigionieri di guerra. Ulteriori notizie filtrano attraverso i successivi rapporti di Amnesty International e di Human Right Watch. Si apprende che la prigione all’origine è divisa in tre sezioni principali: Camp Delta, Camp Iguana e Camp X-Ray. Non esistono celle vere e proprie, ma gabbie costruite con reti d’acciaio che non permettono nessuna privacy né riparo dalle intemperie. Un materasso dello spessore di dieci centimetri è appoggiato direttamente sul pavimento di cemento. I soffitti sono di metallo parzialmente ricoperto in legno e si arroventano sotto il sole dei Carabi.
I detenuti sono tenuti per la maggior parte del tempo in condizioni di totale isolamento, vengono incatenati e blindati durante i trasferimenti da una sezione all’altra del campo.
Un totale di circa 759 prigionieri, provenienti da 42 Paesi, sono passati per le gabbie di Guantanamo, 460 dei quali si trovano ancora sotto custodia dopo quattro anni e mezzo di detenzione. Circa 300 sono stati rilasciati o trasferiti. Solo dieci sono stati formalmente incriminati di qualche reato. Cifre che fanno a pugni con quanto dichiarato tre anni fa dall’allora comandante della base, generale Geoffrey Miller: «I tre quarti dei detenuti hanno confessato di essere dei terroristi. Non solo, molti di loro hanno fatto i nomi di amici e complici». Secondo il generale le confessioni sono state ottenute offrendo premi e ricompense di vario genere: razioni extra di cibo (come gli hamburger del McDonald’s all’interno della base), qualche passeggiata in più, trasferimento dai reparti d’isolamento a quelli di media sicurezza. I resoconti dei sopravvissuti e degli ispettori internazionali raccontano tutta un’altra storia: utilizzo di sostanze ipnotiche come il pentotal (il cosiddetto siero della verità), botte da orbi, umiliazioni sessuali, offese alla religione e torture. Tutte pratiche codificate e perfezionate in collaborazione con gli ufficiali medici, fra cui il colonnello Morgan Banks, lo psicologo responsabile del programma Sere (sopravvivenza, evasione, resistenza, fuga). Gli esperti d’intelligence concordano su un punto: le informazioni estorte in questo modo sono del tutto inattendibili.
È il senatore repubblicano John McCain a ricordare che «di fronte al dolore fisico, si ammette qualsiasi cosa pur di placare gli aguzzini». È un ex prigioniero di guerra in Vietnam e parla per esperienza personale. Miller da Guantanamo è stato trasferito alla direzione del carcere di Abu Ghraib in Iraq. La Croce Rossa Internazionale per prassi non discute pubblicamente le sue valutazioni sul trattamento dei detenuti, limitandosi a muovere osservazioni e richieste ai governi interessati. Un riserbo che Christophe Girod, responsabile dell’organizzazione a Washington sino al 2004, aveva rotto durante un’intervista all’Unità: «Le condizioni dei prigionieri sono disumane e inaccettabili, a punto che i loro guardiani devono preoccuparsi soprattutto che si suicidino. Cosa che tentano di fare in continuazione». La scorsa settimana tre – in circostanze ancora tutte da accertare – ci sono riusciti. Lo sciopero della fame iniziato da un centinaio di detenuti lo scorso anno, era stato stroncato dal personale di custodia immobilizzando i prigionieri e alimentandoli con sonde gastriche fatte passare attraverso il naso. Il New York Times riassume in un editoriale: «Guantanamo è soltanto un anello della sinistra catena di prigioni che comprende Abu Ghraib in Iraq, il carcere militare di Bagram in Afghanistan, e tutti i luoghi segreti di detenzione utilizzati all’estero dalla Cia. Ognuno ha prodotto storie di abusi, torture e omicidi. Non si tratta di incidenti isolati, ma di un sistema globale disegnato in modo da non dover rispondere di fronte alla legge. I prigionieri sono stati trasferiti da un campo all’altro e così gli ufficiali in comando. E probabilmente non è una coincidenza che ciò sia accaduto con le specifiche tecniche di abuso che ora conosciamo».
A dispetto delle richieste della comunità internazionale per la chiusura del lager, il Dipartimento alla Difesa Usa ha approvato un piano di espansione e ammodernamento del campo di detenzione per un valore di 30 milioni di dollari,. Il contratto è stato assegnato senza gara d’appalto a una delle tante consociate di Halliburton, la società pigliatutto nelle commesse per la ricostruzione in Iraq di cui il vice presidente Dick Cheney è stato presidente e amministratore delegato. Il progetto comprende una camera per le esecuzioni delle condanne a morte. I processi contro i dieci sospetti terroristi incriminati non sono mai iniziati.