Grecia, la rinascita dei comunisti

ATENE — Sulla strada che dall’aeroporto fila dritta verso il centro i mega-cartelloni con i volti di Costas Karamanlis e Georgios Papandreu sono già passato. Riconfermato, il primo, capo di un governo di centro-destra che non avrà vita facile; umiliato, il secondo, con il peggior risultato del partito socialista dal 1977. Ai pali della luce resistono tenaci piccoli manifesti rossi. Con l’8,1 per cento dei consensi i comunisti del «piccolo» Kke hanno raddoppiato il numero dei seggi in Parlamento. E accettato una pesante porzione di responsabilità nel rovescio subito dal Pasok di Papandreu nelle politiche greche.
«In tanti hanno votato Kke per la prima volta — esulta la segretaria generale del partito, la pasionaria Aleka Papariga —, finalmente potremo opporci con forza alle misure che il governo tenterà di adottare contro il volere del popolo». Roccaforte del verbo marxista-leninista, il Kke si propone come avanguardia di una resistenza a oltranza «al capitalismo e al colonialismo Usa». La sua storia è saldamente ancorata al tormentato percorso della democrazia greca. Fondato nel 1918, perseguitato sotto la dittatura fascista del generale Metaxas instaurata nel 1936, serra i ranghi dopo l’attacco di Mussolini nel ’40, trasformandosi nel nucleo centrale della resistenza, coordinata e guidata insieme all’Esercito nazionale popolare di liberazione (Elas) e al Fronte nazionale dell’Eam. Dopo la guerra si unisce all’Elas contro il governo greco sostenuto dai britannici. Il conflitto civile durerà fino al 1949, i comunisti ne usciranno a pezzi. Le persecuzioni costringono molti esponenti di spicco a lasciare il Paese. Nel 1952 il mondo si mobilita per Nikos Beloyannis: arrestato per violazione della legge che sancisce l’illegalità del partito, il leader 37enne sarà giustiziato il 30 marzo; tra i membri della corte marziale, il colonnello Georgios Papadopoulos, futuro capo della Giunta militare, il regime sale al potere con il colpo di Stato del 1° aprile 1967, durerà fino al 1974, anno della storica decisione del premier Karamanlis (zio dell’attuale capo del governo) di legalizzare il Kke. Sopravvissuto alla lacerazione innescata dall’invasione sovietica della Cecoslovacchia nel 1968, il partito fa il suo ingresso sulla scena politica ufficiale. Nel 1989 dà vita a Synaspismos, la Coalizione di sinistra dalla quale uscirà tre anni dopo. Dal 1993 non è mai uscito dal Parlamento.
Nel suo penultimo libro, Si è suicidato il Che (Bompiani 2004, seguito nel 2007 da La lunga estate calda del commissario Charìtos), il giallista greco Petros Markaris se la prende con i cinquantenni che dopo aver combattuto la dittatura hanno rinnegato gli ideali di gioventù e ceduto alle sirene del capitalismo. Di sinistra da sempre, domenica Markaris ha votato per i radicali di Syriza, ex Synaspismos. «È ancora prematuro parlare di successo del Kke — dice lo scrittore aspirando con gusto dalla pipa —. Il partito ha incassato i benefici di un sistema elettorale che privilegia i pesci piccoli, e la delusione della popolazione; ma non mi stupirei se gli elettori di oggi tornassero all’ovile domani. Le parole d’ordine dei comunisti risuonano nel vuoto, non è per fiducia nel loro programma che tanti li hanno scelti. Una cosa è certa. La Grecia è cambiata, in peggio. Il boom economico ha anestetizzato il senso morale della nazione. Ci vorrà ben altro che la lotta al capitale per uscire dalla crisi».