Grecia, bufera sul sequestro dell’MI6

Il governo di Kostas Karamanlis nega e smentisce qualsiasi coinvolgimento dei servizi segreti greci o britannici nel rapimento di ventotto cittadini pakistani residenti in Grecia. Gli interessati però insistono: e sono pronti a deporre di fronte al tribunale. «Tutto quello che abbiamo detto fin dall’inizio e la verità e solo la verità. Perciò abbiamo avuto il coraggio di deporre una denuncia, indipendemente da ciò che sostiene la nostra ambasciata», sottolinea Javed Aslam, presidente della comunità pakistana ad Atene. Insieme a lui, quattro dei rapiti, abitanti nel quartiere di Petralona, proprio a due passi dall’Acropoli. La loro storia è nota fin dal luglio scorso sia al ministero dell’ordine pubblico che a quello alla giustizia, ma è stata resa nota soltanto pochi giorni fa, quando la Bbc ha riferito che ventotto islamici sarebbero stati fermati e interrogati – o addirittura rapiti – da agenti dei servizi segreti britannici in territorio ellenico in relazione alle indagini di Scotland Yard sugli attentati del 7 Luglio a Londra.

«Mani in alto. Siamo della polizia. Non abbiate paura. Vogliamo interrogarvi» hanno detto gli sconosciuti, entrati nella nostra abitazione, racconta uno dei rapiti. Con cappucci in testa, i quattro pakistani, dopo due ore di viaggio in un furgone, sono stati trasferiti in una stanza ermeticamente chiusa. «Hanno trasportato anche altri nostri connazionali li. C’erano anche una donna e un nero, sembrava il capo degli agenti, parlava soltanto inglese» racconta Nazir, rapito pure lui. Poi ciascuno è stato interrogato separatamente: «Chiedevano chi conosci a Londra, che lavoro fai, perché sei venuto in Europa, perché hai telefonato a Londra, per quale partito voti in Pakistan, e così via». Un interrogatorio durato da due a sette giorni, poi i rapiti sono stati riportati indietro e rilasciati alla piazza centrale di Omonia ad Atene, con il preavviso: «Non guardate dietro. Non dovete dire niente e a nessuno». Il silenzio dei pakistani, per paura di essere rapiti ancora, è durato parecchi mesi. Secondo loro «gli agenti non portavano armi, né abbiamo subito delle minaccie».

Il penalista Frangiskos Ragousis, che martedì scorso ha presentato al parlamento un dossier sulla vicenda, parla invece di abusi e torture, riferendosi sopratutto al modo come i ventotto sono stati rapiti e interrogati. A loro fianco si è schierato anche l’ordine degli avvocati di Atene. Il suo presidente, Dimitris Paxinos, ha promesso pieno aiuto agli immigrati, chiedendo dal governo di far luce sulle condizioni del rapimento.

Il governo conservatore, che teme di esporti in un nuovo scandalo, questa volta di carattere politico, in un primo momento ha negato tutto: nessun coinvolgimento della polizia greca in un’operazione di questo genere, nessuna azione dei servizi britannici in territorio ellenico, il ministero dell’ordine pubblico «non ha mai ricevuto alcuna denuncia ufficiale circa rapimenti di cittadini stranieri». E quando poi il ministro della giustizia, Anastasios Papaligouras, ha ordinato con urgenza un’indagine alla Questura di Atene «perché c’è qualcosa che non va», il ministro dell’ordine pubblico, Jorgos Voulgarakis, ha messo le mani avanti con una dichiarazione categorica: «Questa vicenda non c’è stata, non c’è e non ci sarà mai. Semplicemente si tratta di una provocazione». Perché è così sicuro, ministro, in base a quali elementi?, abbiamo chiesto a Voulgarakis. «Questo lo dovete cercare voi», è stata la risposta.

E’ evidente il pericolo che la polizia, con la benedizione del suo capo politico, cerchi di confondere le acque. Perciò il pubblico ministero della Corte Suprema, Dimitris Linos, ha chiesto ieri la presenza di un giudice istruttore durante tutta l’inchiesta.