“Un allargamento dell’Unione all’Udc determinerebbe uno sganciamento della sinistra radicale e l’inserimento di altri pezzi del centrodestra. A quel punto la Grosse Koalition sarebbe una realtà”. Così Claudio Grassi, leader della minoranza del Prc Essere Comunisti, risponde alla proposta di “allargamento della maggioranza” lanciata da Fausto Bertinotti sulle colonne della Stampa.
Al contrario, dice il senatore del Prc, “il partito deve battersi per trovare l’intesa più avanzata coi moderati del centrosinistra, mirando però ad aumentare il proprio consenso sociale. Cioè non limitando la propria azione politica negli spazi angusti degli equilibri parlamentari”.
Compromesso. E’ questa la parola che ricorre più frequentemente nell’intervista di Bertinotti. Credi che le mediazioni fatte finora nella maggioranza siano soddisfacenti?
Bertinotti giudica positivamente l’azione del governo, e lo fa usando l’esempio meno indicato: la politica estera. Certo, riconosco scelte positive, come l’indulto, il pacchetto Visco sulla lotta a evasione ed elusione, alcuni interessanti elementi di discontinuità riguardo ai migranti. Ma sulla politica estera e quella economica il governo Prodi sta mostrando il suo volto moderato.
A cosa ti riferisci.
In primis al rifinanziamento delle missioni estere. Su questo punto si sarebbe potuta determinare una discontinuità tra il governo Berlusconi e quello Prodi. E’ stato uno scontro tutto politico, che riguardava anche la nostra capacità di influire nelle scelte del governo e nel quale la maggioranza del partito, sostenendo una strategia che si potrebbe definire di “riduzione del danno”, ha accettato il compromesso e rinunciato a dire la propria. Alla fine il Decreto di rifinanziamento purtroppo è passato. Tuttavia è positivo che agli 8 senatori che inizialmente avevano dissentito se ne sono aggiunti altrettanti, convinti insieme a molti altri parlamentari pacifisti e al movimento per la pace che nel prossimo voto, a dicembre, le truppe italiane in Afghanistan dovranno tornare a casa. Credo che siamo riusciti a rimettere in primo piano un guerra che molti avevano dimenticato, e a costruire le condizioni per un cambiamento.
E’ mancata, forse, anche la forza del movimento pacifista, che negli ultimi anni ha prodotto mobilitazioni straordinarie.
Con la nostra iniziativa abbiamo provato a mantenere stretti i legami col movimento pacifista, ad esempio con la grande assemblea del 15 luglio a Roma, a cui hanno partecipato nomi importanti dell’universo pacifista come Gino Strada, Alex Zanotelli, e personalità come Dario Fo e Beppe Grillo. Non possiamo nasconderci, però, che quella voce oggi è debole. Anche in questi giorni, dinanzi alla strage prodotta da Israele in Libano e a Gaza, manca una voce che chieda la fine delle ostilità. Speriamo che già a settembre, come ha previsto un’assemblea del movimento pacifista svoltasi a Genova la scorsa settimana, si possa rilanciare l’iniziativa politica di un movimento di cui c’è sempre più bisogno.
E sulla Conferenza di Roma, che secondo Bertinotti rappresenta l’emblema del cambiamento dal filoamericanismo di Berlusconi a una “politica europeista e di pace”?
Continuo a non vedere la discontinuità. La conferenza di Roma ha portato solo un ricco risconto di immagine al governo, ma purtroppo non è servita ad altro. Le delegazioni non sono state in grado neppure di chiedere un cessate il fuoco, mentre Israele ha interpretato la conferenza come un via libera all’intensificazione dei bombardamenti. Continua a mancare un’autonomia di giudizio rispetto agli Usa, che sostengono integralmente la guerra di Israele.
Bertinotti continua a lanciare appelli alla “borghesia buona”. Credi che la borghesia italiana potrebbe sostenere quella politica redistributiva che Rifondazione chiede da tempo?
Non vedo una borghesia buona, ma solo delusa dall’esperienza del centrodestra. Questa borghesia è favorevole alla scomposizione dei due Poli, i protagonisti sono Monti e Montezemolo, che lavorano per la costruzione del grande centro.
Passiamo alla politica economica. Quale autunno ci aspetta?
L’autunno si preannuncia complicato. L’intervento di politica economica dettato dal Dpef mette al centro il risanamento, da fare in fretta, solo in due anni. A pagare, a quanto si dice, saranno ancora le classi popolari, coi tagli a pensioni, sanità e pubblico impiego. Bene ha fatto Ferrero a non votare quel Dpef nel Consiglio dei Ministri. Ora, però, dobbiamo marcare la nostra autonomia sui temi di politica economica, che saranno definiti con la prossima Finanziaria. Dare vita a iniziative di lotta con lavoratori e sindacati.
Parliamo del dibattito interno al partito. La vicenda del rifinanziamento ha prodotto un peggioramento dei rapporti tra le minoranze e la maggioranza.
Sull’Afghanistan c’è stato un contrasto tutto politico, in continuità con le divergenze emerse già prima delle elezioni politiche. Ricordo, ad esempio, che in un Cpn preelettorale posi la questione del rifinanziamento, dicendo che mai avremmo potuto votare a favore di una guerra contro cui i nostri parlamentari avevano detto no ben otto volte. Allora la maggioranza, impegnata nel proprio percorso di avvicinamento al governo, decise di non affrontare questi temi. Si tratta, cioè, di questioni che noi ponevamo da tempo, criticando il fragile compromesso raggiunto col programma. Non capisco, dunque, i toni molto duri usati dalla maggioranza nei nostri confronti. Faccio notare, inoltre, che i “dissidenti” erano anche in altri partiti, e nessuno di questi ha usato la stessa asprezza nei toni e negli argomenti usati nei nostri confronti dal gruppo dirigente del Prc.