Oggi è il 27 aprile. Settant’anni fa, il 27 aprile 1937, muore, dopo nove anni di reclusione, Antonio Gramsci, a causa di una emoragia celebrale.
Con Alberto Burgio, studioso di Gramsci ed autore nel 2003 per Laterza di Gramsci storico. Una lettura dei “Quaderni dal carcere”, cogliamo l’occasione di questo anniversario per riflettere sull’attualità del lascito dell’intellettuale e dirigente comunista sardo.
D. Innanzitutto non possiamo non notare una coincidenza densa di significato: la morte di Antonio Gramsci si colloca tra due date simboliche per il movimento operaio e la storia dei comunisti in Italia: il 25 aprile e il 1 maggio.
R. Sì, la data della morte di Gramsci si colloca tra due delle ricorrenze più significative per la sinistra italiana. Il 25 aprile: data in cui l’Italia riconquista la libertà dopo quasi ventitrè anni di dittatura fascista grazie ad una poderosa resistenza di popolo e grazie – in particolare – all’iniziativa, dentro la lotta partigiana, dei comunisti. Un contributo, quello dei comunisti, che non comincia soltanto negli anni conclusivi del conflitto bellico, quando si apre lo scontro militare con i sostenitori della Repubblica Sociale Italiana e con l’esercito nazista ma, che al contrario, è determinante già nel lungo tunnel della dittatura. Periodo nel quale i comunisti riuscirono, nonostante le grandi difficoltà, a tenere in vita la traccia della coscienza di quanto fosse necessario organizzare il movimento operaio, di quanto fosse necessario costruire le condizioni per la rapida ripresa della lotta di massa nelle fabbriche, nelle campagne, nelle città. E il 1 maggio, ovviamente, è il giorno in cui quel movimento che, con la lotta partigiana, fu in grado di sconfiggere il nazifascismo, celebra la sua funzione costitutiva nel processo di costruzione della democrazia.
D. Chi è stato Antonio Gramsci?
R. Sicuramente la figura più importante nella vicenda dei comunisti in Italia; un intellettuale che – sin da ragazzo, sin dal suo approdo a Torino – ha svolto un ruolo preminente nella organizzazione del movimento operaio; la figura che maggiormente ha avuto influenza per la nascita del Pcd’I, dopo aver avuto incarichi nella lotta di fabbrica nel biennio rosso, segnando una rottura dentro la storia del riformismo italiano e marcando un sovrappiù di classe nei confronti di una borghesia la cui debolezza storica e propensione reazionaria sarebbero stati argomenti di storia critica dei decenni successivi alla fine del secondo conflitto mondiale.
D. Si è soliti, sempre più spesso, distinguere il Gramsci dei Quaderni dal Gramsci guida della lotta politica nel periodo precedente. Esiste questa dualità?
R. No, non c’è soluzione di continuità e contraddizione tra il Gramsci dei Quaderni e il Gramsci che costruisce, nella lotta di fabbrica a Torino, l’avanguardia politica comunista. È questa una semplificazione funzionale a rappresentare – in un’ottica di critica alla prospettiva rivoluzionaria – i Quaderni come interni al tatticismo istituzionale; si tratta di una lettura frutto dell’esigenza di presentare Gramsci come l’ideologo della deriva moderata degli ultimi anni del partito comunista e delle sue deformazioni.
Non vi è alcuno iato tra il Gramsci giovane scapigliato, rivoluzionario ed estremista e un Gramsci maturo che, per questo, ha dimesso i panni del rivoluzionario approdando ad un’ottica riformista.
Vi sono, nei Quaderni, elementi di ordine strutturale che hanno favorito questo genere di interpretazioni: i Quaderni sono una massa notevolissima di testi tra loro solo in apparenza disomogenei. Viceversa, infatti, la frammentazione non attiene al contenuto. Vi è una estrema organicità e coerenza del lascito gramsciano ma quella configurazione esteriore, frammentata, molteplice, in apparenza disorganica, ha favorito una lettura errata di Gramsci da parte di chi lo ha interpretato ricostruendolo a propria immagine e somiglianza.
Noi critichiamo questa lettura, priva di fondamento. Nei Quaderni vi è, se mai, una maggiore originalità nell’analisi soprattutto per il grande tema della prospettiva gramsciana: quello della complessità. Non si tratta di una ridefinizione degli obiettivi strategici della lotta di classe e del superamento della società capitalistica ma di una maggiore attenzione alla grande complessità della società borghese moderna, all’interno della quale la lotta di classe si deve dotare della capacità di conquistarne le diverse articolazioni e anche i suoi immaginari, sul terreno della cultura e dell’ideologia.
D. La complessità, dunque. Ma quali sono le categorie gramsciane che rimangono a tuo avviso oggi più in grado di interpretare la realtà?
R. La categoria più abusata e più nota e che tuttavia riserva ancora – se si leggono i Quaderni in modo avvertito – originalità e sorprese è quella di egemonia. Diversamente da quanto è stato suggerito da parte di lettori superficiali o semplicemente portatori di un’ottica tradizionale – laddove viceversa Gramsci è capace di innovare e scoprire sottotraccia elementi di trasformazione – l’egemonia non concerne soltanto l’ambito delle sovrastrutture, delle istituzioni culturali o il terreno della costruzione e diffusione delle ideologie, della cultura, dei saperi e dei discorsi. Non è soltanto una dinamica relazionale che chiama in causa gli intellettuali in senso proprio; è, al contrario, categoria di una forma del potere che Gramsci definisce “direzione”, per distinguerla dalla forma violenta della subordinazione, che lui riconosce inerente a tutti gli snodi della relazione sociale. In cosa sta l’innovazione, l’originalità? Gramsci capisce che ormai la società contemporanea nella quale si è sviluppata la produzione industriale e quindi il lavoro vivo si organizza secondo lo sviluppo della tecnologia e per mezzo dell’avvento di nuove forme di produzione e di divisione del lavoro; la società contemporanea fornisce ormai al momento della conoscenza e della diffusione dei saperi un ruolo che nelle società precedenti era assente. Gramsci è colui il quale per primo segnala un salto di qualità, una rottura del paradigma pre-moderno, si direbbe oggi, e la assunzione di un ruolo cruciale nella produzione della soggettività da parte dell’elemento intellettuale. È per questo che a sua volta l’idea di intellettuale viene trasfigurata: non più l’intellettuale tradizionale con una collocazione medio-alta nella gerarchia sociale, in corrispondenza delle professioni intellettuali, bensì l’intellettuale come singolo soggetto messo al lavoro dalla società capitalistica. Ormai il lavoro si lega, di fatto o potenzialmente, ad una competenza, alla capacità di elaborare elementi di teoria e di consapevolezza che in precedenza il lavoro non coinvolgeva necessariamente.
D. Quali indicazioni politiche contiene questa riflessione?
R. Indicazioni preziose, perché il riconoscere che i saperi, che sono a loro volta diffusi, sono uno strumento di costruzione delle soggettività dà una formidabile indicazione di lavoro politico; è un’intuizione che conduce all’idea che la diffusione della consapevolezza non trova ostacolo, come accadeva in passato, nel fatto che i nostri interlocutori sono tendenzialmente privi della capacità di recepire consapevolezza. Per Gramsci in questa società anche il soggetto operaio e proletario, anche il lavoro vivo, è prodotto in forme di soggetto consapevole e portatore di una coscienza critica.
I Quaderni sono la chiave per leggere il Manifesto di Marx nel modo più originale e più produttivo ed attuale: nella misura in cui il Manifesto ancora distingue tra proletari e comunisti e cioè concepisce come due momenti distinti il momento della collocazione del soggetto nella dinamica produttiva e il momento dell’acquisizione della consapevolezza di sé e dell’acquisizione di una coscienza antagonista, Gramsci dice che in un certo senso ci pensa lo sviluppo stesso delle forze produttive a unire i due momenti: il soggetto messo al lavoro è, in quanto tale, portatore in senso proprio di criticità e dunque in grado di configgere con il capitale, allo scopo di invertire segno dei rapporti di forza. Certo è che, in mezzo, c’è sempre e ancora il momento dell’organizzazione della soggettività del partito…
D. C’è quindi, seppure in presenza di una presa di coscienza conseguente alla collocazione del proletariato nella dinamica sociale, ancora bisogno dell’organizzazione politica, del partito. Quanto Gramsci c’è, allora, nell’esperienza storica del partito comunista italiano del dopoguerra?
R. Molto. Premesso che le forme della soggettività politica sono sempre mutevoli, e che quindi anche il partito nuovo di Togliatti è diverso da quello che Gramsci immagina, possiamo dire che il Moderno Principe si costruisce dentro la società come partito di massa e non come avanguardia militare. In questo già allude alla concezione togliattiana del partito nuovo, intesa come costruzione capace di aderire alle articolazioni della società e quindi di interloquire con i soggetti alleati o potenzialmente alleati della classe operaia nella lotta rivoluzionaria. Gramsci è, anche al di là di questo, fonte fondamentale nell’elaborazione teorica e nella pratica politica del Pci per quello che connota una capacità che il partito ha rispetto ad altre formazioni politiche nell’ambito del movimento comunista internazionale.
Quale? La capacità “espansiva”, direbbe Gramsci. La capacità di costruire alleanze, di egemonizzare anche altri ambiti e componenti della totalità sociale. Il partito comunista italiano non fu un partito operaio in senso angusto. Fu un partito con vigorose radici di classe ma che nel corso dei decenni della storia repubblicana fu in grado di costruire relazioni, alleanze che aggregarono nell’orbita di una lotta progressiva per la difesa del lavoro e per i diritti delle masse, tutte le componenti del mondo del lavoro (i contadini, gli impiegati, i tecnici, ovviamente anche gli studenti e gli intellettuali) e anche i ceti medi. Il Pci fu l’aggregazione di massa di quei soggetti che condividevano le istanze della partecipazione democratica. Il germe di questa intuizione è il Gramsci dei Quaderni, ed è un germe che noi riteniamo pienamente attuale.
D. Certo è che, rispetto alla situazione in cui si trovava a riflettere Gramsci, sono cambiate le forme del lavoro, l’organizzazione della produzione e anche la struttura di classe della società…
R. Questo è vero. Tuttavia le intuizioni di fondo, la necessità di disporre di una forte organizzazione in grado di condurre la lotta politica anche sul terreno ideale ed ideologico e l’eisgenza che questa forte organizzazione – il partito comunista – sia in grado di costruire alleanze ed intese e sia in grado di guidare i soggetti nella trasformazione complessiva della società, rimane completamente attuale. Rimane l’attualità di un Gramsci che non consideriamo obsoleto né convertito – come qualcuno, non per caso, vorrebbe – alle ragioni di un esangue riformismo.