L’opposizione libanese, per bocca dei suoi esponenti più autorevoli, il leader del partito sciita Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah e l’ex generale cristiano-maronita Michel Aoun, segretario del Movimento patriottico libero, ha rotto ieri gli indugi e, terminata la settimana di lutto per l’uccisione di Pierre Gemayel, ha invitato la popolazione a scendere in piazza da oggi pomeriggio e a tempo indeterminato per chiedere le dimissioni del governo Siniora e la formazione di un esecutivo di unità nazionale. O, altrimenti, la convocazione di nuove elezioni anticipate con la formazione di un nuovo parlamento che, a sua volta, eleggerà il prossimo anno un nuovo presidente della repubblica, anch’esso espressione, come chiede la costituzione, delle principali forze politico-confessionali del paese.
Il vasto fronte che da oggi sarà in piazza, comprendente anche l’altro movimento sciita moderato «Amal» – guidato dal presidente del parlamento Nabih Berri- , vari movimenti sunniti – da Sidone nel sud a Tripoli nel nord – e cristiano maroniti, ma anche organizzazioni minoritarie druse e movimenti progressisti come il Partito del popolo di Najah Wakim, e, su una posizione autonoma lo stesso Partito comunista – accusa il governo in carica e la sua maggioranza (il Partito del futuro della Hariri Inc., l’ultradestra falangista di Samir Geagea e di Amin Gemayel, il leader druso Walid Jumblatt) di aver rotto il patto di governo e di aver tenuto conto più delle richieste di Bush e Chirac che degli interessi del paese sino al punto di non aver sostenuto la resistenza durante la guerra d’estate con Israele e di voler continuare a governare, violando la costituzione, nonostante nell’esecutivo, dopo le dimissioni dei cinque ministri sciiti e di uno greco ortodosso, non siano più rappresentate le principali forze politiche e confessionali del Libano. I manifestanti che questo pomeriggio si sono dati appuntamento nel centro della città, presidiata da migliaia di soldati e di poliziotti, sotto la collina dove ormai da settimane sono asserragliati i ministri del fronte filo-Usa, chiederanno a gran voce la formazione di un governo di unità nazionale dove la minoranza politico-parlamentare – in realtà da tempo maggioranza nel paese – e la comunità sciita che ha pagato un così caro prezzo per fermare l’invasione israeliana, abbiano almeno un terzo dei ministri e quindi possano bloccare eventuali decisioni che ritengono «contrarie agli interessi del paese» dal disarmo della resistenza, al controllo da parte delle truppe straniere del territorio, delle acque e dello spazio aereo, da una pace separata con Israele senza un ritiro di Tel Aviv dai territori occupati ad una corte internazionale sull’uccisione di Hariri che (come è già avvenuto con la commissione di inchiesta sull’uccisione dell’ex premier ) violi la sovranità libanese e si riveli non uno strumento di verità e di giustizia – sul quale tutte le forze politiche libanesi concordano – ma piuttosto un’arma nelle mani degli Usa per destabilizzare il libano e la vicina Siria favorendo un loro spezzettamento etnico-confessionale. Da qui il carattere «nazionale» della protesta di oggi e il divieto di scendere in piazza con bandiere e slogan di partito. Durissima la risposta del premier Fouad Siniora che ieri in serata ha paragonato la richiesta di un governo di unità nazionale o di nuove elezioni ad un «colpo di stato» e ha sostenuto – cercando così di favorire un futuro ruolo nella crisi interna delle forze dell’Unifil – che «il sistema democratico parlamentare è in pericolo». Al calar della notte migliaia di poster con il volto di Nasrallah sono apparsi in tutta la parte occidentale di Beirut mentre i palazzi della parte orientale, cristiana, venivano già addobbati con gli striscioni arancioni del movimento di Michel Aoun.