Governo amaro, partito cercasi

Ma chi l’ha detto che gli operai sono di sinistra? Forse in passato, adesso in fabbrica va tutto bene se parli di condizioni di lavoro, anche gli scioperi si fanno e riescono bene. Ma come il discorso finisce sulla politica, la musica cambia». Giovanni Prisco è degato Fiom alla Ip Cleaning dove 190 dipendenti costruiscono macchine per le pulizie industriali. Tessera di Rifondazione comunista, passione politica, scelta convinta ma tanta delusione per l’esperienza di governo. Delusione e incazzatura sono sentimenti ampiamente condivisi tra i militanti del Prc che lavorano in fabbrica. Non si tratta tanto di posizioni ideologiche legate alle numerose componenti che affollano il Prc, quanto piuttosto del portato dell’impegno quotidiano tra gli operai. La nostra inchiesta sugli umori e le aspettative dei rifondaroli di fabbrica ci porta nel cuore dell’Emilia per la seconda puntata.

«Negri» e cinesi
Pietro Braglia è delegato in una grande azienda cooperativa, la Uni-carni di Udo Cigarini (grande elettore del Partito democratico). Si tratta di qualcosa di più di un macello cooperativo, nato dall’unificazione di cooperative storiche di Reggio e Modena. Un qualcosa, dunque, «di sinistra» e innovativo: terziarizzazioni a cooperative di macellazione, precarizzazioni che hanno addirittura anticipato quel che con la legge 30 sarebbe stato formalizzato, moltissimi lavoratori exstracomunitari, africani e cinesi. A Reggio si racconta di un importante sciopero, un anno fa, dove un ruolo importante fu svolto dagli operai cinesi in prima fila nei picchetti. C’è chi li ricorda mentre inseguivano i compagni di lavoro africani che tentavano di entrare al lavoro, al grido «Dove vai negro di merda, non sai che oggi c’è lo sciopero?». Pietro è lapidario: «Berlusconi aveva unificato quel che Prodi sta dividendo. La critica più ricorrente dei lavoratori è che i politici sono una casta autoreferenziale totalmente all’oscuro delle condizioni di vita della gente, dei salari ridicoli, dei mutui, della crisi della quarta settimana. Se durante i cinque anni di Berlusconi l’incazzatura si trasformava in lotta, oggi cresce il qualunquismo, una deriva spinta dalla delusione per le politiche del centrosinistra. Rifondazione non ha avuto la capacità di mettere al centro dell’azione di governo le questioni nostre, i problemi concreti dei lavoratori. Andiamo a rimorchio delle scelte altrui. Io mi chiedo: dove pensano di prendere i voti, il Prc e in generale i partiti dell’Unione, se continuano a dare mazzate a noi, ai giovani precari, ai pensionati? Tra i notai, farmacisti, capi del personale?». Giovanni insiste sullo «smottamento politico» degli operai, non solo in Lombardia, anche nel cuore dell’Emilia rossa: «Quelli del Partito democratico vanno a pescare i voti nel ceto medio perché sanno che gli operai non li votano più. Gli operai non votano, questo sta capitando, si sta accentuando un distacco che non nasce oggi». Leda Venturelli proviene dalle fila dei Ds, ora è in attesa che da sinistra arrivi qualcosa di ragionevole, che si chiami «cosa rossa» o in qualsiasi altro modo. E’ delegata Fiom in un’azienda elettronica, la Metalsistem: «Da me c’era un’attesa fortissima dopo la sconfitta di Berlusconi che oggi si sta trasformando in delusione. Fino all’ultima finanziaria in busta paga avevo 1.000 euro, adesso ne prendo 990. Sarebbe questo il risarcimento promesso? In compenso i padroni si sono portati a casa i soldi del cuneo fiscale e mano libera sul contratti atipici. Cresce l’insofferenza per la ‘classe politica’ in un clima che mi ricorda il qualunquismo degli anni Sessanta». Non può non far riflettere il fatto che, a un dibattito alla Camera del lavoro di Reggio organizzato dalla Fiom, gli applausi più convinti siano andati non al segretario Gianni Rinaldini ma al presidente dì Federmeccanica Massimo Calearo che agitava l’antipolitica.

Qui finisce l’alleanza
Angelo Bariani lavora alla Nuova Bbo (utensili), è dirigente Fiom e ri-fondarolo: «Sono deluso soprattutto per il mio partito. A Epifani, che dopo aver firmato quel che sappiamo dice ‘qui finisce la concertazione’, noi dovremmo rispondere ‘no, qui finisce l’alleanza’, dato che è stato smontato il programma dell’Unione pezzo per pezzo, fino al regalino degli scalini e alla fregatura sul mercato del lavoro. Serve subito un chiarimento, ascoltando il campanello d’allarme suonato con le elezioni amministrative. La Lega cresce anche qui da noi, e se non cambiamo la politica sociale, che ci stiamo a fare al governo?, che alternativa siamo?». Tanti operai vanno verso la Lega, interviene Pietro, «perché parla una lingua semplice e identitifica il nemico, quei poveracci dei cinesi che spolpano la carne nei macelli cooperativi. Se non c’è equità, se non si dà un taglio netto all’evasione, se non si sposta finalmente un po’ di ricchezza verso il lavoro non può che crescere il qualunquismo e saranno sempre di più gli operai che ci diranno ‘siente tutti uguali’. Io lavoro di fatto alla catena in una cella frigorifera, dovrei andare in pensione subito ma mi pare di aver capito che sono fregato». «Non facciamo di tutta l’erba un fascio. Per esempio il Dpef – cerca di frenare Giovanni – è buono, si vede che è un accordo fatto insieme alla sinistra, una specie di scambio dopo le mazzate precedenti. Io ho fiducia nel mio partito. E poi, è vero che gli operai sono incazzati con noi ma penso, spero, che alla fine seguiteranno a votare per il meno peggio».
Prima di incontrare questi quattro delegati reggiani in Camera del lavoro avevo sondato gli umori di una cinquantina di militanti del Prc, soprattutto operai e delegati Cgil, alla festa di Liberazione di Sorbolo, dieci chilometri da Parma. Toni duri, incazzatura alle stelle, chi se ne va dal partito e chi al contrario «dobbiamo restare e cacciare il gruppo dirigente», della serie que vayan todos. Chissà perché, ai dibattiti di questa estate a quaranta gradi vanno soprattutto le minoranze inteme a Rifondazione. La maggioranza, se c’è, tace, in un clima difficile. L’Afghanistan, le pensioni, la legge 30, «non è cambiato niente». C’è una canzone le cui note non sopportano più: «Se c’è la crisi ritorna Berlusconi»: «O fissiamo dei paletti oppure chi la capisce la differenza tra Prodi e Berlusconi?». Il capogruppo a Parma sposa in pieno la lettera sul manifesto di Ivan Della Mea al «compagno Fausto». C’è sofferenza nel Prc, aggiunge, «il nostro errore principale è aver abbandonato a se stessa la base che oggi non conta più niente». Un operaio della Immergas (caldaie, 700 dipendenti), snocciola l’elenco delle «malefatte» del governo e dice che «se solo si vuol tornare a pensare una società diversa dobbiamo fare un bilancio dell’esperienza di governo. Faremo i conti al congresso». E un altro metalmeccanico aderente al gruppo Falce e martello snocciola invece i punti di conflitto operaio nella provincia parmigiana: «All’Altea ci sono dei padri-padroni che comandano. Lì il 70% dei dipendenti è a tempo determinato, a forza di produrre sughi sì sono abituati a spremere gli operai come pomodori. Alla Barilla ci sono le lotte per l’integrativo. E in autunno il contratto dei metalmeccanici: se il partito non si mobilita con convinzione a sostegno delle lotte operaie, che ci sta a fare?».
Chiusa la parentesi parmigiana torniamo a Reggio Emilia. Si teme il prosciugarsi del «bacino» elettorale di Rifondazione e della sinistra in terre rosse da sempre, come Brescello, il paese di Peppone e don Camillo con fabbriche importanti come la Immergas, 700 dipendenti. O come Cavriano, passato alle cronache per aver conferito nel 1920 la cittadinanza onoraria a Lenin. Quando Vladimir Il’ic Ul’janov cercò Cavriano sulla carta geografica e non lo trovò, pensò che la popolarità della Rivoluzione d’ottobre fosse davvero alle stelle.
Ma andiamo oltre la delusione, criticare non basta, ne sono convinti tutti i delegati reggiani con cui parliamo. Il problema più scottante è come si esce dalle secche, con quali alleanze, e come si modifica, se è ancora possibile, il modo di stare al governo di Rifondazione. Se sulla natura «non di sinistra» del Partito democratico sono tutti d’accordo, c’è però chi non sottovaluta l’impatto negativo che quel progetto può avere a livello sociale e persino nelle forze di sinistra. Giovanni è preoccupato per la scelta di Walter Veltroni: «Una bella mazzata per noi, ci sono molti estimatori del sindaco di Roma anche tra i lavoratori, anche tra chi vota Rifondazione». E’ troppo semplice dire che la dissoluzione verso il centro dei Ds apre spazi a sinistra, bisogna saperli ricoprire quegli spazi, «con un progetto alternativo». Secondo Pietro «i quattro partiti di sinistra devono mettersi insieme rapidamente e fissare dieci punti comuni su cui si va avanti, smettendola di fare i donatori di sangue. Fare massa critica, come dice Bertinotti, ma se serve mettendoci di traverso, su lavoro, pensioni, precarietà, ambiente». In fretta, aggiungono Leda e Angelo, prendendo atto che con gli ultimi provvedimenti «siamo alla punizione delle sinistre al governo da parte di quelle forze di destra con cui siamo alleati, quelle che hanno impedito a inizio legislatura che venissero tassate seriamente le pensioni d’oro». «Si vede come piangono, i ricchi. Eravamo andati al governo per cambiare, per sbugiardare la teoria del conflitto generazionale e alla fine i miei due figli non si sa se, quando e quanto lavoreranno, precari a vita per rimediare alla fine una pensione da fame, mentre noi genitori – è il carico da 11 di Pietro – dovremo lavorare finché crepiamo. E di tutto questo chi devo ringraziare, se non il mio governo?».
I dieci punti chiesti da Pietro si arricchiscono, chi aggiunge la pace, chi l’abbattimento delle spese militari «che invece sono cresciute». Leda chiede di aggiungere «la sanità. Per analisi e interventi sono costretta ad aspettare sei mesi, oppure a rivolgermi ai privati e spendere più di
quel che guadagno, 990 euro al mese. Ho scritto per posta elettronica alla ministra Turco, credi che mi abbia risposto?»
«La cosa rossa è necessaria, va da sé che dobbiamo salvare una sinistra in Italia. Serve un’alleanza forte – dice Angelo – che però salvaguardi le rispettive identità». Per Pietro «ha ragione Ferrero, ualcosa come la vecchia Flm capace anche di rivolgersi all’esterno, fuori dai partiti promotori dell’alleanza, tra i lavoratori». L’identità è una categoria complessa, anche rischiosa. Giovanni prova a dire che «Diliberto in questa fase è più comunista di noi» ma Pietro non è d’accordo e per spiegarsi fa ricorso alla memoria: «Era tanto comunista anche quando stava nel governo che bombardava Belgrado e Pristina?». «Se si lavora sulle questioni materiali – è la volta di Leda – la gente ci capisce, tutti insieme a sinistra potremmo superare il 15%. Io sono in piazza dal ’68, da allora sono cambiati tanti governi ma noi si continua a lottare per le stesse cose. Se neanche un’alleanza forte a sinistra riuscisse a modificare le politiche economiche e sociali di Prodi, restare al governo non avrebbe più senso». «Unità a sinistra, difficile ma obbligatoria nonostante le differenze emerse sulle pensioni, ma si devono muovere in fretta a Roma, serve un’accelerazione che non può arrivare dalla base, dalla provincia. Qui a Reggio ci si prova a lavorare insieme ma è difficile», sostiene Angelo che aggiunge: «E soprattutto serve una mobilitazione dei lavoratori, anche per costringere il sindacato a riconquistare la sua autonomia». Peccato che impazzi la sindrome del governo amico, anche «in Cgil che infatti non c’è», lo dice il giovane e più «moderato» Giovanni. E gli altri aggiungono: «Sull’articolo 18 abbiamo stoppato Berlusconi, adesso con ‘i nostri’ ci stiamo bevendo le cose peggiori». Allora si fa così: «Unità a sinistra per garantire una sponda politica e parlamentare a un forte movimento di lotta», per dirla con Pietro.
La discussione potrebbe finire qui, con qualche riflessione finale sullo «smottamento culturale» in fabbrica, il punto da cui eravamo partiti. Ma c’è una questione delicata, un boccone rimasto sullo stomaco a Pietro come agli altri delegati reggiani. «So che su questo non siamo d’accordo con te», inizia Pietro rivendicando la giustezza di una denuncia fatta da un’operaia di Mirafiori al nostro giornale. Jole aveva criticato l’impegno della sinistra su «indulto, Dico e quant’altro» invece che sulle tematiche del lavoro. «Siamo tutti incazzati sull’indulto che fa il miracolo di saldare l’insicurezza sul lavoro all’insicurezza in casa, per strada, ai giardini. Si son fatti uscire di galera fior di delinquenti, che messaggio mandiamo alla povera gente?». E’ vero, concordano gli altri delegati, «si sono unite due insicurezze: è di sinistra far uscire dopo pochi giorni l’albanese che ti ruba la macchina?». I lavoratori, aggiungono, non ci capiscano e s’incazzano ancora di più con la sinistra. Ma le carceri sono piene di poveracci, gente in attesa di giudizio, non di Previti e padroni… «Allora depenalizziamo alcuni reati minori, ma garantiamo la certezza della pena».

Campanelli d’allarme
Reggio Emilia ha un gruppo dirigente della Cgil forte, erede e tutore di una cultura politica robusta e aperta all’esterno. Così la Fiom, guidata da un giovane segretario attentissimo alle questioni sociali. A Reggio, cuore rosso d’Italia, la Camera del lavoro si batte in difesa degli immigrati, organizza proprio in questi giorni iniziative contro la pena di morte. E’ un presidio democratico per l’intera società, un punto di riferimento generale. Se da questa postazione particolare emergono segnali preoccupanti sulla «tenuta» dei lavoratori dipendenti, sul distacco dalla politica, sulla crescita dell’antipolitica e del qualunquismo, dovremmo – Prc, sinistre, Cgil, stesso governo, informazione – spalancare le orecchie, cercare di capire. E di cambiare.
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