I cattivi non erano solo serbi. La lista dei criminali è ancora lunga. E il Vaticano svolse un ruolo fondamentale per il nazionalismo croato
Dunque nella ex-Jugoslavia i cattivi non erano soltanto serbi, come per molto tempo induceva a credere il comportamento del Tribunale penale internazionale dell’Aja (per non parlare dei governi occidentali). C’erano cattivi, anzi cattivissimi, anche tra i croati, i macedoni e gli albanesi dell’Udk, sia kosovari che di Macedonia. E il procuratore capo del Tpi Carla del Ponte, in passato attivissima soprattutto nell’accusare e nel ricercare i dirigenti serbi e serbo-bosniaci, adesso reclama con forza la consegna da parte di Zagabria del criminale di guerra croato numero uno, il generale Ante Gotovina, arrivando ad accusare la Chiesa cattolica di Croazia e lo stesso Vaticano di proteggere il ricercato e ostacolare l’operato del Tribunale. Un’accusa che il Vaticano e la Chiesa locale respinge, ma che la fonte da cui viene ha indubbiamente serie motivazioni. Tanto è vero che l’atto di accusa della Del Ponte avrà come probabile conseguenza l’ulteriore rinvio del negoziato di adesione della Croazia all’Unione europea.
Si potrebbe dire meglio tardi che mai. Ci sono voluti infatti parecchi anni perché il comportamento del Tpi cominciasse ad apparire meno unilaterale, senza dimenticare naturalmente i dubbi sul suo fondamento giuridico e il fatto che fu istituito a suo tempo per volontà del governo americano nel quadro della sua politica anti-jugoslava ed anti-serba. E dando atto a Carla Del Ponte delle sue iniziative odierne, non si può certo dimenticare che mentre negli anni ’90, e particolarmente ai tempi del Kosovo, gli Usa e alleati demonizzavano il serbo Milosevic – sotto processo all’Aja dal febbraio 2002 – il presidente-dittatore croato Franjo Tudjiman, colpevole della spietata pulizia etnica contro i serbi di Krajna e Slavonia e dei massacri della “Operazione tempesta” del 1995, era rispettato, riverito e aiutato solo perché fedele alleato dell’Occidente.
Ed è proprio di quei crimini che il generale Ante Gotovina è oggi accusato all’Aja: il capo di imputazione fa infatti esplicito riferimento alla uccisione di 150 serbi e alla deportazione di altri 150 o 200 mila, oltre che alla distruzione e al saccheggio di case e di interi villaggi.
Il dato clamoroso degli sviluppi odierni è che il procuratore Del Ponte accusa apertamente la Chiesa croata di tenere Gotovina nascosto in un convento francescano e il Vaticano di «rifiutarsi totalmente di collaborare» per risolvere la questione. «Secondo informazioni da me ottenute – ha detto la Del Ponte – Gotovina è nascosto in un convento francescano e quindi il Vaticano lo sta proteggendo. Dicono (in Vaticano, ndr) di non avere informazioni, ma non ci credo. Credo che la Chiesa cattolica abbia tra le più avanzate reti di informazione e di intelligence»; se volessero, ha aggiunto ancora, potrebbero localizzare «nel giro di pochi giorni» il convento in cui è nascosto.
Santa Sede e governo di Zagabria negano invece di sapere alcunché e mettono in dubbio che Gotovina si trovi in Croazia. Ma la cosa non deve sorprendere. Al clima di esasperato nazionalismo alimentato negli anni ’90 dal regime di Tudjiman la Chiesa cattolica di Croazia ha dato un contributo consistente e diretto; e il partito del presidente, l’Hdi, che ha ancora largo seguito nel Paese, era arrivato a rivalutare uomini e simboli della Croazia fascista di Ante Pavelic, tutt’ora citato da molti parroci nelle loro preghiere. Nessuna sorpresa che in questi ambienti il generale Ante Gotovina sia considerato addirittura un “eroe nazionale” e goda quindi di coperture e protezioni.
Quanto al Vaticano, nel 1990-91 fu proprio il suo affrettato riconoscimento della indipendenza di Slovenia e Croazia a contribuire allo scoppio della guerra nella ex-Jugoslavia; e d’altronde la Croazia cattolica è vista come un vero e proprio punto di forza della Chiesa nella penisola balcanica (nelle attenzioni dello stesso Papa Wojtyla fu seconda soltanto alla Polonia).
Il Tpi avrà dunque da penare non poco se vorrà davvero arrivare a vedere Gotovina sul banco degli accusati, tanto più che si avvicina la scadenza (il 2008) entro cui dovranno essere conclusi i processi di primo grado. Oggi ce ne sono in corso nove (su 116 celebrati, 37 dei quali con condanne definitive in maggioranza contro serbi); il più importante fra gli attuali è quello contro Slobodan Milosevic, attualmente nella fase delle testimonianze della difesa, citate dallo stesso ex-presidente serbo che non riconosce l’autorità del tribunale e si difende da solo, nonostante si sia cercato di impedirglielo in tutti i modi.
Carla Del Ponte ha anche rinnovato più volte l’invito al governo di Belgrado a consegnare i due ricercati eccellenti serbo-bosniaci Radovan Karadzic e Ratko Mladic, per i quali peraltro non c’è nessuna prova che siano nei confini della Serbia (di recente le stesse forze Nato hanno compiuto dei blitz per catturare Karadzic, ma nel territorio della Repubblica Srpska di Bosnia); secondo il procuratore tuttavia la Serbia «può prendere Mladic e consegnarlo in poco tempo, ma evidentemente per motivi politici non è pronta a farlo». Forse fra quei «motivi politici» c’è anche il fatto che al momento del sequestro di Milosevic, con un brigantesco colpo di mano, per consegnarlo all’Aja, l’allora primo ministro Zoran Djinjic (poi assassinato a Belgrado nel 2003) aveva ricevuto dagli Usa promesse di aiuti economici che poi non sono state mantenute.
Sta di fatto tuttavia che nel gennaio scorso il ministro degli Interni della Repubblica Srpska, Darko Matijasevic, aveva accompagnato all’Aja Savo Todovic, già direttore del carcere di Foca in Bosnia orientale, accusato di avere deciso la vita o la morte di un gran numero di civili musulmani; e nel consegnarlo al Tpi (con il suo assenso) aveva definito «intensa e molto buona» la collaborazione con le autorità di Belgrado e aveva aggiunto che erano in corso trattative per la consegna, o l’auto-consegna, «di altri ricercati».
Ma, dicevamo in principio, non ci sono solo i serbi e, adesso, i croati. C’è nella lista ad esempio anche l’ex-ministro degli Interni della Macedonia Ljube Borkovski, con la sua guardia del corpo Johan Tarculovski, accusati dell’omicidio di civili albanesi e contro i quali fu emesso un mandato nel marzo scorso; c’è l’ex-comandante dell’Uck albanese in Macedonia Ali Ahmeti, poi diventato segretario dell’Unione democratica per l’integrazione entrata nel governo; e ci sarebbe anche l’ex-generale Gezim Ostreni, anch’egli già comandante dell’Uck e poi vice-presidente del Parlamento di Skopje; senza dimenticare l’ex-primo ministro del Kosovo sotto tutela Nato Ramush Haradinaj, consegnatosi al tribunale ancora nel marzo scorso. Come si vede ce n’è (finalmente) per tutti, con una sola vistosa eccezione, che a sua volta la dice lunga sulla reale natura del Tpi: i crimini commessi dalle forze della Nato durante la guerra del 1999, quelli che venivano cinicamente definiti «effetti collaterali». Di fronte a questi crimini il Tribunale dell’Aja non ha potuto (o non ha voluto) fare altro che ritenersi incompetente. Come se non fossero crimini commessi «nella ex-Jugoslavia».