«Golpe rosso» nella Spd vacilla la Grosse Koalition

In mezzo al guado della complicata trattativa di governo con la Cdu-Csu di Angela Merkel, la socialdemocrazia tedesca inciampa in una grave crisi interna, forse la più seria degli ultimi dieci anni. Una resa dei conti inattesa e pasticciata, che scopre il fianco debole della Spd e mette a rischio lo stesso negoziato per la Grosse Koalition .
Franz Müntefering ha di fatto annunciato le sue dimissioni da presidente del partito, dopo che ieri la direzione socialdemocratica aveva bocciato a sorpresa il suo candidato alla segreteria generale, preferendogli invece la leader della sinistra del partito. Uno schiaffo in faccia inaccettabile per Müntefering, che ha immediatamente fatto sapere di non volersi più ricandidare alla massima carica, al congresso in programma a metà novembre a Karlsruhe. Di più, il vice-cancelliere designato ha anche messo in dubbio la sua partecipazione al futuro governo, spiegando che essa dipenderà dall’esito dei negoziati e dai contenuti dell’accordo con la Cdu-Csu. Müntefering ha comunque assicurato di voler continuare a partecipare «con tutte le forze» alla trattativa con i cristiano-democratici e di voler rispettare l’impegno a concluderla entro il 12 novembre: «Voglio che il negoziato abbia successo».
Reagiscono allarmati i capi della socialdemocrazia, il cancelliere Schröder in testa, mentre la notizia produce subito i primi effetti collaterali nel dibattito politico: già incerto sul salto da Monaco a Berlino, il premier bavarese, Edmund Stoiber, destinato all’Economia, coglie l’occasione e fa sapere che anche lui potrebbe chiamarsi fuori, se Müntefering dovesse rinunciare al suo posto di ministro del Lavoro e numero due nel governo di Angela Merkel.
E’ stato un classico «golpe dal basso», genere molto in voga in passato nella Spd, a spingere Franz Müntefering al gran rifiuto. Il leader socialdemocratico aveva investito prestigio e autorità sul nome di un suo fedelissimo, Kajo Wasserhövel, come segretario generale, carica decisiva nella gestione quotidiana del partito. Ma, con votazione segreta, i colonnelli della direzione gli hanno preferito, per 24 a 14, Andrea Nahles, trentacinquenne pasionaria della sinistra, ex leader degli Jusos e una delle voci più critiche della linea riformista di Gerhard Schröder.
«L’esito è stato sin troppo chiaro e univoco: in queste condizioni, ho deciso di non ricandidarmi alla presidenza» ha detto Müntefering, spiegando che già domani una riunione straordinaria del presidium Spd discuterà le eventuali proposte per la successione, che verrebbe comunque decisa a Karlsruhe. I primi nomi circolati sono quelli di due premier regionali: Mathias Platzeck del Brandeburgo e Kurt Beck della Renania-Palatinato, entrambi cinquantenni e da tempo indicati come possibili protagonisti del ricambio generazionale all’interno del partito.
Il cancelliere Schröder ha accolto con «dispiacere» l’annuncio, invitando comunque a non drammatizzare la situazione e avvertendo che la decisione «non dovrà avere alcuna conseguenza» sulla trattativa di governo. Preoccupazione legittima, alla luce delle prime reazioni esterne, tutte attente a sottolineare la condizione di debolezza politica, in cui le dimissioni, annunciate di Müntefering, precipitano la Spd. «Non c’è dubbio – dice Jürgen Falter, politologo dell’Università di Magonza – che una Spd priva di leadership si ritrovi indebolita nel negoziato, aumentando così le possibilità di fallimento».
Proprio ieri sera, le due delegazioni sono entrate nel quarto e finora più difficile round di colloqui. Sul tavolo, il dossier economico, dopo l’intesa che ha fissato a 35 miliardi di euro la cifra necessaria, da qui al 2007, per colmare il deficit di bilancio. Cosa dovrà uscire da tagli di spesa e cosa da nuove tasse, è il nodo da sciogliere. Il ministro delle Finanze designato, il socialdemocratico Peer Steinbrück, ha segnalato l’eventuale disponibilità ad accettare l’aumento dell’Iva, cavallo di battaglia della Merkel. In cambio la Spd otterrebbe la tassa sui grandi patrimoni. Le parti sono anche vicine all’intesa sull’aumento dell’età pensionabile da 65 a 67 anni.