«Gli Usa vogliono isolare la Siria»

«Noi intellettuali laici, di fronte alla prospettiva di nuove sanzioni, ci troviamo in una situazione molto difficile e proviamo una profonda amarezza per il tentativo degli Usa e non solo loro, di far fallire l’unico credibile processo di apertura e di riforme possibile oggi in Siria. Il presidente Bashar Assad ha il pieno controllo della situazione ma se lo dovesse perdere l’esercito potrebbe arrivare qua in non più di venti minuti e gli unici a trarre vantaggio dal caos e dalla frammentazione del paese sarebbero i fondamentalisti di ogni tipo. E’ come se l’Iraq non avesse insegnato niente a nessuno». Con queste parole Nabil Allau, direttore del teatro dell’opera di Damasco, ci esprime quella sensazione di essere vittime di un sistema internazionale profondamente ingiusto che sempre più pervade quei settori cosmopoliti che più conoscono la cultura europea e occidentale e che tutto hanno puntato sui processi di apertura a livello economico e politico avviati in Siria, pur tra mille contraddizioni, negli ultimi quattro anni. E che questo sia il ritratto di Nabil Allau, con i suoi lunghi studi in Francia e in Italia, e la sua esperienza di professore di linguistica all’università di Damasco, da tre anni responsabile del più grande auditorium del Medioriente, non ci sono dubbi. Ci riceve nel suo moderno ufficio al centro di un grande complesso di marmo bianco con tre grandi sale (da 2.000, da 700 e, quella «elisabettiana», da circa 300 posti), inaugurato lo scorso anno dal maestro Riccardo Muti con l’orchestra sinfonica della Scala. Il nuovo teatro dell’opera, che in un anno ha visto ben 246 rappresentazioni con oltre 350.000 spettatori, si affaccia sulla centrale Piazza Ummayad, una grande rotatoria snodo di varie autostrade urbane, al centro della nuova Damasco. «Non conoscono nulla di questo paese, della sua storia, di quel che sta avvenendo oggi – ci dice il professor Allau dopo aver firmato alcune carte – e ci accusano di essere un pericolo per il mondo. Ma com’è possibile se riusciamo a mala pena ad andare avanti? Semmai sono loro a costituire un pericolo per noi e per tutto il Medioriente arabo». «Quel che ci colpisce di più e che ci rattrista – continua Nabil Allau – è che nei confronti della Siria non ci sia alcuna disponibilità a risolvere i problemi sul tappeto con il negoziato. Dagli Usa e dall’Onu arrivano solamente ordini impossibili da rispettare senza perdere la nostra sovranità e la nostra dignità e che il presidente Bashar non può sottoscrivere senza suicidarsi e senza suicidare il paese».

«Eppure – continua il direttore del teatro dell’opera – tutti i problemi di cui si parla sarebbero risolvibili. Basterebbe mettersi attorno ad un tavolo pubblicamente o anche lontano dagli occhi della stampa, magari a Cipro o in Sardegna, e discutere di quel che il presidente può fare subito e di quel che potrà fare in un secondo momento. Bashar Assad è come noi, è un laico pragmatico, non un militare, ed è pronto ad un dialogo di pace per riavere le alture del Golan e a prendere in considerazione quanto gli è stato chiesto ma per far tutto ciò deve essere aiutato sia dall’interno, sia dall’esterno. Invece sta avvenendo il contrario, come se tutti preferissero il caos ad un cauto ma concreto processo di riforme».

Per quanto riguarda l’inchiesta sull’uccisione dell’ex premier libanese Rafiq Hariri, Nabil Allau e con lui, possiamo dire, l’intero paese, è profondamente scandalizzato dal rapporto Mehlis per la sua unilateralità e per la totale mancanza di prove contro il governo siriano. Piuttosto, è opinione comune, «potrebbero essere stati dei personaggi con passaporto libanese addestrati all’estero dalla Cia e dal Mossad, gli unici capaci di una tale precisione e gli unici che avrebbero potuto guadagnare da quel delitto». «In ogni caso – continua Allau dopo essersi chiesto perché mai nessuno voglia un’inchiesta internazionale sull’uccisione di Yasser Arafat – non capiamo perché la commissione non voglia aprire un dialogo con il presidente per arrivare alla verità dal momento che Bashar Assad si è impegnato a perseguire chiunque, anche nelle alte sfere, dovesse risultare coinvolto nel complotto. La Siria, per il presidente e per tutti noi viene prima di qualsiasi altra cosa». «Accuse così gravi – ci dice il direttore del teatro dell’opera prima di accompagnarci verso il grande cancello d’uscita – devono essere però corroborate da prove solide. C’è troppo marcio in questa storia. Altro che ricerca della verità, qui siamo alla sua definitiva sepoltura. Ma una cosa è sicura: noi siriani non siamo disposti a farci seppellire con lei».