«Gli Usa? Un mito sgonfiato»

Intervista a Emmanuel Todd, storico e antropologo francese, convinto assertore della tesi del declino dell’impero americano. «La guerra all’Iraq è paragonabile all’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Urss: un sistema che si sente minacciato dall’interno, che non riesce a contrastare i rivali strategici, cerca di dare una dimostrazione di potenza nel cuore dell’Eurasia». Imbarcandosi in un’avventura che ha già prodotto tre grossi colpi: «la defezione tedesca, l’associazione della Russia all’asse franco-tedesco e la defezione turca».

PARIGI
Se in Italia la sinistra dibatte sulla durata della guerra, in Francia non c’è discussione: il sorriso va da un orecchio all’altro ogni giorno in più che dura il conflitto. E si spiega la soddisfazione: che figura ci avrebbero fatto il presidente Jacques Chirac, il suo ministro degli esteri Jacques de Villepin, e la quasi totalità delle forze politiche francesi se in 48 ore gli anglo-americani fossero entrati a Baghdad accolti da banderuole, fiori d’arancio e chicchi di riso? Perciò, rispetto a Londra, si respira tutta un’altra aria (almeno per il momento) e il mondo da Parigi appare un altro pianeta rispetto a quello che si guarda da Londra. Ne è un’esempio nitido il sorprendente ottimismo sulla Francia e sull’Europa di Emmanuel Todd che incontro nel suo appartamento parigino. Figlio dello storico e giornalista Olivier Todd, 52 anni, storico (con dottorato di ricerca a Cambridge) e antropologo, specialista delle relazioni familiari, Emmanuel Todd divenne famoso alla fine degli anni `70 quando, in solitaria minoranza, predisse la crisi e il dissolvimento dell’impero sovietico (La chute finale, Laffont 1976). Alla fine del 2002 ha recidivato con Après l’empire (Gallimard, in traduzione italiana presso i tipi di Marco Tropea), le cui tesi si riflettono nella conversazione che segue.

L’opposizione alla guerra non costerà carissima alla Francia e alla Germania?

Vulnerabili sono gli Stati uniti. Per capire, bisogna tornare al campo dei reali rapporti di forza, quelli economici: a dipendere è l’America, che ha un deficit di 500 miliardi di dollari, che ha bisogno di 1,3 miliardi di dollari al giorno per mantenere il proprio livello di vita. Sarebbero proprio gli Stati uniti la prima vittima di ogni misura di ritorsione economica contro l’Europa (perché con l’euro ogni azione contro Francia e Germania si ripercuote su tutta l’Europa). E a causa di questa guerra che dura di più, e costa di più, del previsto, la vulnerabilità statunitense si è aggravata. Quel che stiamo vivendo, a tappe, è lo sgonfiarsi del mito dell’iper-potenza americana. L’anno scorso, con lo scandalo Enron a Arthur Adersen, si è capito che una buona parte dell’economia americana è fittizia: i capitali hanno cominicato a ritirarsi e c’è stato un primo ribasso del dollaro. Seconda tappa dello sgonfiamento: la defezione degli alleati. La Germania ha fatto defezione: è una svolta storica, di per sé molto più importante della guerra in Iraq. Perché un pilastro del sistema americano era il controllo delle due grandi potenze esportatrici del mondo, Germania e Giappone. Uno dei due pilastri è saltato, la Germania: è la fine della seconda guerra mondiale, è un evento inaudito, finora la Germania era condannata all’inazione a causa del nazismo.

Ma perché America e Gran Bretagna mettono il silenziatore sull’aspetto tedesco della crisi?

Perché è troppo importante. Picchiano e ripicchiano sulla Francia perché è la routine. È rassicurante perché i francesi sono «rompiscatole», e se continuano a esserlo, va bene, significa che siamo sempre nel passato. Ma picchiare sulla Germania significa confessare che è davvero successso qualcosa. E soprattutto, se gli Stati uniti si permettessero d’essere cafoni come lo sono con Parigi, la Germania – al contrario della Francia – non ha mostrato tutte le sue carte: il grosso del sistema logistico americano è costituito dalle gigantesche basi in Germania e non sarà certo rimpiazzato da qualche campetto di calcio in Romania riciclato da pista d’atterraggio; e se i tedeschi chiudono le basi americane, il sistema logistico Usa è finito. Il primo scacco importante Usa è stata perciò la defezione tedesca associata alla Francia. Secondo scacco: si scopre all’improvviso che questa coppia franco-tedesca può associarsi alla Russia. Gli Stati uniti avevano la scelta fra una sconfitta diplomatica all’Onu e un disastro strategico. Hanno scelto il disastro strategico, perché appena dimostrano al mondo che possono aggredire paesi lontani senza ragioni presentabili, rendono inevitabile un asse Europa-Russia. E di colpo emerge una forza di contrappeso: tutte le popolazioni europee sono d’accordo con Schröder e Chirac, c’è quindi l’embrione di una forza nuova. In questo nuovo polo eurasiatico l’Europa ha una potenza economica e industriale superiore agli Usa e la Russia ha sempre un arsenale strategico. Infine c’è stata la defezione di un pilastro strategico della Nato, la Turchia che ha detto no. In tutti questi scacchi e defezioni si constata che gli americani non hanno più mezzi di ritorsione. La capacità finanziaria ce l’ha la Germania con i suoi surplus commerciali. Gli Usa sono dei mendicanti finanziari. Se si lanciano in ritorsioni finanziarie, disorganizzeranno i circuiti mondiali.

All’inizio degli anni `90 andava molto di moda il «declino americano». Paul Kennedy, Arrighi, Wallerstein predicevano che gli Usa sarebbero stati soppiantati dall’area del Pacifico e in particolare dal Giappone. Poi si è visto che è bastato un buffetto del Fmi e gli Stati uniti hanno annichilito ogni velleità nipponica.

Già alla fine degli anni `80 gli americani erano coscienti delle loro debolezze industriali. Poi l’Urss è crollata. Poi l’Urss è quasi implosa e questo ha dato un’illusione di onnipotenza. Per di più il sistema finanziario mondiale ha raggiunto la maturità, canalizzandoo immesi flussi di capitali che cercavano sicurezza negli Stati uniti. Dunque una massa di denaro è arrivata negli Usa, un po’ come l’oro giunse in Spagna nel `500, e ha dato all’America mezzi di spesa, le ha permesso di vivere a credito, di finanziare un deficit commerciale immane, ma soprattutto le ha pemesso di non attuare l’innovazione industriale. È in questo periodo che Airbus ha finito per sopravanzare Boeing, che più della metà dei satelliti sono stati lanciati nello spazio dagli europei e che gli europei sono stati più rapidi nella telefonia mobile, e Nokia è diventata tre volte più importante di Motorola.

Non mi farà credere che le economie di Germania e Giappone vanno a gonfie vele!

So che da parecchi anni la stampa americana è piena di insulti sprezzanti per le economie industriali tedesca e giapponese. Ma il problema attuale dell’economia è un’insufficienza della domanda su scala mondiale: quando dappertutto i salari vengono compressi, la domanda cala, come nel `29, solo che questa volta avviene a un rimo più lento a causa delle reti di protezione sociali. In un contesto di crollo della domanda, sono toccate di più le economie più esportatrici: nel ’29 erano Usa e Germania perché erano le due potenze più dinamiche, ora sono Germania e Giappone. Per forza che l’America è meno toccata: una debolezza di produzione industriale!

Dimentica la tecnologia avanzata. L’Europa non ha più un’industria di grandi computer.

Lei ha una visione consumistica dell’informatica: pensa troppo ai PC portabili. L’informatica è qualcosa di più complesso e diffuso. La superiorità di Airbus su Boeing è una superiorità dell’informatica «imbarcata». Prenda i robot industriali, l’informatica inserita nei beni d’investimento: in Giappone ci sono 300.000 robot industriali, in Europa 200-220.000 (di cui 89.000 in Germania), mentre negli Usa ce ne sono solo 97.000. Se smettiamo di pensare ai portabili, e prendiamo la totalità della rivoluzione industriale, gli Usa non sono più all’avanguardia.

Chalmers Johnson sostiene una tesi simile alla sua: l’impero americano è molto più fragile di quel che sembra.

Nel mio libro attacco gli anti-americani strutturali come Noam Chomsky che hanno un’idea esagerata della potenza americana e che in un certo senso mantengono l’attuale dirigenza americana nel suo delirio. Chomsky, Le monde diplomatique e Donald Rumsfeld hanno in comune una visione esagerata della potenza Usa. Ora, la guerra in Iraq non è Roma che avanza oltre il Reno ed estende troppo l’impero. Il buon paragone è con l’Urss che invade l’Afghanistan: un sistema che si sente minacciato dall’interno, indebolito industrialmente, che non riesce più a contrastare i suoi rivali strategici (l’euro è una minaccia a termine pen più pericolosa del terrorismo). In Iraq gli Stati uniti vogliono dare una dimostrazione di potenza nel cuore dell’Eurasia, una ripresa della dottrina Brzezinski, ma tutto mostra che il mondo sfugge loro.

Comunque lo smantellamento dell’Onu, dell’Unione europea e della Nato rientravano tra gli obiettivi di questa ammnistrazione. E sono stati conseguiti.

Per niente. La Nato non era necessario farla implodere: nella struttura attuale gli europei sono portati a considerare i russi come un sostegno, un contrappeso strategico e nucleare agli Usa, perciò non possono più vivere in sicurezza senza la Russia.

E l’Onu?

Mai l’Onu è stato tanto importante. L’Onu è in difficoltà se si ritiene che il problema del mondo sia Saddam Hussein, ma se il problema del mondo è l’emergere degli Usa come fattore destabilizzante, allora l’Onu ha mostrato le menzogne Usa, le prove falsificate, ha messo in minoranza gli Stati uniti in pubblico. Formidabile vittoria dell’Onu: la gente oggi sa cosa è l’Onu.

E l’Europa?

Allora c’è da crepare dal ridere: «Orrore, l’Europa è esplosa, non ha più politica estera comune». Ma fino alla crisi di dicembre, la realtà dell’Europa era che la Germania ubbidiva agli Usa, dunque l’unica politica comune era l’allineamento agli Stati uniti. Ora è un po’ più confuso perché la Germania è uscita dal gioco con la Francia. E i popoli sono con Francia e Germania, mentre alcuni governi, come Spagna e Italia, sono un po’ in ritardo per quel che in linguistica si chiama il «conservatorismo delle zone periferiche». Ma per la prima volta, proprio perché la Germania ha ripreso la sua libertà d’azione, possiamo immaginare una politica estera europea. E una difesa comune è inevitabile perché gli europei hanno valori comuni e interessi comuni a causa dell’integrazione economica; perché non hanno nessun interesse a entrare in questa guerra, che si annuncia lunghissima, tra Stati uniti e mondo arabo. È inevitabile perché vedono sempre più gli Usa come una minaccia strategica. E la sorpresa sarà che gli inglesi parteciperanno alla difesa perché, a forza di umiliazioni, violenze, insulti, gli americani li stanno disgustando. Gli inglesi sono straziati, sono anglosassoni e sono europei, ed è difficile per loro scegliere l’Europa contro gli Usa, volevano essere il ponte sull’Atlantico. Ma ora hanno l’alternativa tra essere niente insieme agli Stati uniti o essere una potenza importante dentro l’Europa.