Gli Usa respingono le proposte arabe

Stati uniti e Francia, i due paesi estensori di una nuova bozza di risoluzione sul conflitto libanese che non chiede allo stato ebraico il ritiro dai territori occupati e la cessazione delle ostilità e che prepara la strada alla creazione di una «fascia di sicurezza» controllata da Israele nel Libano del sud e all’invio di una forza multinazionale con il compito di combattere la resistenza libanese, non accoglieranno le richieste formulate dal governo libanese e dalla Lega araba ma «ne terranno» conto in una sua riformulazione che non dovrà però metterne in discussione l’impianto essenziale. Lo ha sostenuto in un’intervista alla Cnn il rappresentante permanente del Regno Unito all’Onu Emyr Jones Parris. In altri termini il nuovo testo non conterrà quelle che sono le principali richieste libanesi e arabe: la cessazione del fuoco, il «ritiro immediato di Israele» dal sud del Paese dei cedri, l’affidare all’Onu i territori delle fattorie di Sheba (occupati da Israele nel 1967), il potenziamento delle forze Onu (Unifil) che dovranno verificare un dispiegamento dell’esercito libanese nel sud, il rispettivo rilascio dei prigionieri. In un loro comunicato i ministri degli esteri della Lega araba riunitisi lunedì a Beirut oltre a sostenere la posizione libanese (grazie alle pressioni dell’opinione pubblica indignata per la posizione di sostegno ai piani Usa da parte di Arabia saudita, Giordania ed Egitto, hanno messo in guardia il Consiglio di sicurezza «sulle conseguenze che potrebbero derivare dall’adottare una risoluzione che non è attuabile, che complicherà la situazione sul terreno, e che non tiene conto degli interessi e della stabilità del Libano».
La risoluzione, franco-Usa non solo è stata respinta dal Libano e dai paesi arabi ma non è piaciuta neppure alla Russia che, per bocca del vice ministro degli Esteri russo, Andrei Denisov ha proposto di metterla da parte e di votarne invece un altra per un immediato «cessate il fuoco» teso a rendere possibile l’invio di aiuti umanitari. La decisione del governo libanese di impegnarsi ad inviare nel sud 15.000 soldati che dovranno dispiegarsi nel Libano meridionale dopo il ritiro israeliano (anche dalle fattorie di Sheba) e la fine delle ostilità è stata valutata positivamente da Stati Uniti e Israele ma allo stesso tempo giudicata «insufficiente». I militari libanesi infatti, chiedono Washington e Tel Aviv non dovrebbero semplicemente «dispiegarsi» ma piuttosto combattere contro la resistenza libanese appoggiati dalle «forze combattenti» di un contingente multinazionale, composto da paesi europei, Italia in testa, la cui composizione e i cui compiti dovranno essere decisi da un altra risoluzione.
Nel frattempo l’esercito israeliano potrà continuare a restare nel Libano del sud non solo nelle fattorie di Sheba occupate nel 1967 ma anche nei villaggi occupati in questi giorni e potrà continuare la sua guerra contro il Libano. Inoltre gli oltre 300.000 abitanti del sud del Libano cacciati a cannonate dalle loro case non potranno tornare nelle loro case. Non c’è da meravigliarsi che la risoluzione franco-americana, così schiacciata sulle posizioni israeliane, non sia piaciuta ad altri oltre che a Parigi e a Washington al punto che il segretario della Lega Araba, Amr Moussa l’avrebbe definita una «dichiarazione di resa» da parte del Libano e della resistenza libanese. Ancora più netta la presa di posizione degli Hezbollah secondo i quali la bozza franco-Usa è «morta prima di nascere». «I francesi hanno ceduto alle pressioni americane e israeliane – ha sostenuto un portavoce della resistenza libanese che da 28 giorni sta resistendo all’invasione israeliana – e Israele dovrebbe così rimanere nel nostro territorio. Noi dovremmo disarmare. Perché mai inoltre si parla di una forza multinazionale solamente dalla parte libanese, quella aggredita, e non invece anche nel nord di Israele? Noi non dovremmo più ricevere le armi con le quali ci difendiamo mentre gli Usa continueranno ad inviare armi ad Israele. Forse non hanno capito chi in realtà sta vincendo questa guerra».