Gli Usa: «Processo di Aviano da rifare»

Il giudice si riserva di decidere. Si è conclusa così la prima udienza della causa intentata da cinque cittadini contro il governo statunitense per la presenza di armi atomiche nella base Usaf di Aviano. «Già in partenza – dice Monia Giacomini del comitato via le bombe, e una dei cinque cittadini – da parte della procura c’era una istanza di difetto di giurisdizione. Nell’udienza di mercoledì scorso il governo Usa tramite i suoi avvocati ha chiesto la sospensione del processo perché evidentemente punta a far passare il procedimento in Cassazione». Forse il precedente del Cermis – in cui la Cassazione condannò la Filt Cgil, costituitasi parte civile contro il governo statunitense, a un risarcimento di 50 milioni di lire richiamandosi all’«immunità di giurisdizione» degli Usa in base al trattato di Londra – gioca in questo caso il suo ruolo.
Il giudice ha deciso di non poter procedere mercoledì e quindi si è riservato il giudizio dopo la lettura delle carte. «Penso – dice ancora Giacomini – che non sia il caso di cantar vittoria in questo momento: ancora una volta abbiamo visto da parte degli americani un atteggiamento di superiorità. Il governo Usa – aggiunge – non vuole che l’Italia metta bocca in ciò che accade all’interno delle basi americane».
Fino a questo momento i tribunali italiani hanno confermato di non poter o non voler intromettersi in quanto accade nelle basi statunitensi presenti nel nostro territorio. «Nei casi del Cermis e del rapimento di Abu Omar – dice Sandro Metz, consigliere regionale dei verdi del Friuli Venezia Giulia – abbiamo dovuto registrare la supremazia Usa. Gli Stati uniti che esportano democrazia e riportano a casa impunità. Bisogna tornare a parlare della base di Aviano – aggiunge Metz – siamo in presenza di un cancro che si sta allargando all’interno di un territorio che non è solo quello del Friuli. Un cancro con ricadute negative sia a livello ambientale che sociale».
Per Metz la «suggestione di Vicenza e della lotta contro il dal Molin deve aiutarci a riprendere anche la discussione su Aviano». Che poi significa, come spiega Stefano Mantovani della neo-nata rete «NOAViano airbase», «ampliare il discorso. La base di Aviano non è riducibile alla sola dinamica territoriale. Se ci sono testate nucleari il problema si pone non solo per gli avianesi ma per chi vive un territorio molto più ampio».
Se fino a questo momento la base di Aviano è stata un po’ sottovalutata (anche se molto attivo è stato il comitato contro Aviano 2000, che si è battuto contro il raddoppio poi realizzato della base) è anche perché «sostanzialmente gli americani sono riusciti a vincere almeno parzialmente sul piano della convivenza sociale. Sono cioè riusciti – dice ancora Mantovani – a far passare la presenza della base anche nella mente dei cittadini». Almeno fino alla guerra in Kosovo (e poi con i bombardamenti sulla Serbia) che in realtà ha dimostrato con drammaticità che la base di Aviano è qualcosa di vivo, efficace, attivo. Ma questa è anche la base da dove è stato deportato in Egitto Abu Omar, rapito a Milano.
La rete «NOAViano airbase», che ha come centrale la lotta contro la base friulana ma rappresenta anche l’allargamento a una battaglia più ampia da parte di attivisti di quel territorio che da Treviso a Gorizia, a cavallo tra Veneto orientale e Friuli, «ospita» decine di servitù militari dai depositi alle basi aeree. La Rete intende rilanciare un percorso per espellere la guerra dai territori. «Perché – sostiene Christian, tra gli ispiratori della nuova realtà – per il noi il discorso va ampliato per identificare percorsi, che come Vicenza ha insegnato, ci aiutino ad uscire dalla guerra».