Gli Usa e l’impunità. Chi non firma paga

101 paesi hanno firmato i trattati bilaterali che garantiscono agli americanil’immunità dalla Corte penale internazionale. 53 hanno detto no e gli aiuti sono subito svaniti (anche quelli per la lotta all’Aids). Particolarmente colpita l’America latina. Ma a Lima Rumsfeld garantisce che «ognuno è libero di firmare o di non firmare».

La Colombia è uno dei 101 paesi che hanno finora firmato il trattato bilaterale imposto dagli Stati uniti che sottrae i cittadini nord-americani, ipoteticamente colpevoli di crimini contro l’umanità, alla giurisdizione della Corte penale internazionale. E’ ovvio, anche se è quanto meno strano per il fatto che la Colombia risulta essere fra i paesi aderenti alla Cpi. Ma il Plan Colombia vale miliardi di dollari e il presidente Alvaro Uribe, uno che è più guerrafondaio di Bush, non potrebbe vivere senza gli amici di Washington. In Colombia in questi cinque anni in cui il Piano è stato in vigore sono ruotati almeno 8 mila soldati Usa, più un numero impreciato di agenti delle varie agenzie e, secondo i più moderni canoni della privatizzazione della guerra, di contractors. La Colombia ha già un trattato del 1974, pienamente in vigore, che dà ai soldati Usa l’immunità ma due anni fa Bush ha preteso e Uribe ha firmato un nuovo accordo bilaterale specificamente anti-Cpi. «Questo trattato dice che qualsiasi persona in Colombia deve rispettare la legge, indiani, cinesi, i colombiani… Qualsiasi persona eccetto gli statunitensi», ha detto il senatore Jimmy Chamorro a Bogotà. Come nel caso della Colombia citato dal senatore Chamorro, molti giuristi e politici ritengono che i trattati esistenti proteggano già a sufficienza i soldati americani sparsi sulla terra. Il valore aggiunto dei nuovi accordi bilaterali imposti consiste nel fatto che estendono quella impunità non solo ai militari ma anche ai semplici cittadini degli Stati uniti, ad esempio i turisti, e perfino ai mercenari non-americani contrattati da compagnie Usa.

Per questo molti dei 101 paesi che hanno dovuto (o, i più zelanti, voluto) abbassare la testa e hanno firmato gli accordi bilaterali (ieri il New York Times parlava di «circa i due terzi») si trovano ora in difficoltà a ottenerne la ratifica da parte dei rispettivi parlamenti che sollevano dubbi sulla loro legalità. E’ il caso della Nigeria, dove il senato ha chiesto al governo di annullare l’accordo, o del Paraguay, che ha seri problemi a farlo approvare dalla Camera.

Se 101 paesi hanno firmato, 53 hanno finora detto no. Fra quelli del campo diciamo così occidentale in senso lato, i paesi dell’Unione europea o i principali paesi dell’America latina. Se per i fedelissimi Inghilterra, Australia e Giappone, come per la Germania, il rifiuto non ha comportato pene, agli altri è costato caro.

Il sito del Dipartimento di stato Usa riporta i nomi dei paesi che hanno sottoscritto l’accordo per «non consegnare persone alla Corte penale internazionale»: Afghanistan, Pakistan, Egitto, poi alla rinfusa e con tutto il rispetto Albania, Bosnia Erzegovina, Botswana, Gibuti, Figi, Timor est, Togo, Kiribati, Isole Marshall, Tonga, Malawi, Mautizius, Singapore, Uzbekistan, Seychelles, Sao Tomé e Principe, Palau, Emirati arabi, Brunei, Mozambico, Bangladesh, Micronesia, Mongolia Congo, Ciad, Maldive, Nepal, Liberia, Sierra Leone, Ciad, Ruanda, Tuvalu…

Per chi non ha firmato gli aiuti sono svaniti in tutto o in parte. Secondo il New York Times sono almeno «due dozzine» che si sono visti tagliare i fondi. Prima, con una legge Usa del 2003, sono stati tagliati gli aiuti nel campo militare e della sicurezza, poi una legge del dicembre scorso ha esteso la possibilità di taglio a tutti gli altri campi: programmi sociali e sanitari (perfino quelli sull’Aids), sull’educazione e sul peace-keeping.

La scure di Washington è stata particolarmente pesante in America latina, perché non si può concepire che il tradizionale cortile di casa non dica sempre e subito sì. Di latino-americani e caraibici, nella lista dei 101 paesi acquiescenti, in cui è la miserrima Africa a fare la parte del leone che bela, ci sono Haiti, Guyana, Grenada, Antigua e Barbuda, Belize, Honduras, Panama, il Nicaragua… La Dominica aveva detto no e aveva visto subito volatilizzarsi 400 mila dollari di aiuti: per due anni non ha potuto muovere la sua Guardia costiera, costituita da un’unica barca. Quindi ha firmato. Fra i renitenti i costi, dal 2003, sono stati pesanti: 1.3 milioni di dollari l’Uruguay, mezzo milione il Costa Rica, 1.5 milioni la Bolivia, l’Ecuador 15 milioni e altri 7 milioni quest’anno. In giugno il presidente Alfredo Palacio, subentrato a Lucio Gutierrez cacciato da una rivolta popolare, è andato in televisione a dire «che assolutamente nessuno mi farà piegare la testa». Ma forse è un pazzo. Tanto più che l’Ecuador «ospita» la base aero-navale di Manta, la più grande e strategica che gli Usa hanno nella regione.

All’inizio della settimana il segretario alla difesa Donald Rumsfeld ha fatto una puntata in Paraguay e Perù, due dei non molti paesi «amici» ma che titubano e finora non hanno firmato. Dopo aver incontrato il presidente paraguayano Nicanor Duarte ad Asuncion e Alejandro Toledo a Lima, tutti si sono sforzati a negare che ci siano state pressioni. «Ogni paese è libero di sottoscrivere o no l’accordo bilaterale con noi», ha garantito Rumsfeld mentre fuori gruppi di manifestanti gli urlavano «asesino, asesino» e gli sventolavano sul naso cartelli con le famose foto degli «abusi» di Abu Ghraib. Il Perù con le sue indecisioni ha già perso 4 milioni di dollari e prevede che quest’anno gli aiuti Usa alla lotta contro il narco-traffico scenderanno da 116 a 97 milioni di dollari.

Uno strano modo di combattere la guerra alla droga, di cui il Perù è uno degli epicentri mondiali, e al terrorismo, visto che il Paraguay è il paese della famosa Triplice frontiera con Argentina e Brasile dove si troverebbe uno dei retroterra del terrorismo islamico. L’ha detto anche il generale Bantz Craddock, davanti al senato Usa in marzo: senza più quegli aiuti dovrà essere tagliata «una generazione di militari» latino-americani che, come la storia insegna, vanno ad addestrarsi e indottrinarsi nel Comando sud degli Stati uniti e questo potrebbe aprire la strada ai narco-trafficanti, all’aggressività della Cina, «che sta cercando di stringere legami militari con l’America latina», e anche peggio: a quell’anti-americano fottuto di Hugo Chavez che usa il petrolio come arma.